Gemma Altimari inaugura la “Tendenza pastina”
Il ricettario dell’avvocatessa cosentina che trasforma il cibo per bambini in regina della tavola

“Tutta colpa della pastina”, giura Gemma Altimari, con notevole coraggio gastronomico. Mentre tutti pubblicano ricettari che ti spiegano come temperare il tuorlo, impiattare con la mozzarella frullata e servire la rana pescatrice “in verticale”, Gemma ha fatto l’esatto opposto: ha preso la pastina, il cibo dei bambini, dei nonni, delle febbri, delle coccole e l’ha trasformata nella regina della tavola. Una vera controtendenza alla cucina MasterChef, con le sue riduzioni, le spume, i piatti che ti guardi e chiedi: “Ma dove l’hanno messo il mangiare?” In fila, in genere, cinque paccheri allineati o anche in piedi, come se fossero candele. Gemma archivia tutto e lancia una controtendenza. “Tutta colpa della pastina” è il libro che ha appena pubblicato (Pellegrini editore), sfornato, è il caso di dire, in pochi giorni, l’estate scorsa al mare. “Scusate – mi racconta – ma perché il timballo di riso non può essere un timballo di pastina? Tra l’altro io non amo il riso”. La sua passione per la cucina nasce da bambina, quando mangiava pastina con “pipe” di Senise e faceva tagliolini con decine di uova, obbligando la mamma a usare chili di farinapur di non buttare via tutto. Una creatività infantile che oggi ritorna nelle pagine del libro, piene di ricette tradizionali nella prima parte – soprattutto verdure ma anche carne e pesce – e poi la carta delle pastine dove non troverete mai fusilli o rigatoni o spaghetti.

Gemma Altimari, avvocato, è anche un’apprezzata padrona di casa che ha aperto già da un po’ un home restaurant. Una scelta della “fase B” della vita, dopo gli anni dei codici e del tribunale. Ora la sua fatica letteraria (“non proprio una fatica, dice, è stato divertente”), un album di tradizioni del Sud condite d’olio buono: la nonna con la cucina in muratura, lei a tre anni che fa la minestra di patate, i pesci buttati nel pozzo “per lavarli meglio”. Una vita intera che profuma di Cosenza, identità e passioni. Nessuna schiuma, nessun azoto liquido: “Preferisco un piatto amabilmente prevedibile a un “Oddio cos’è questo?”, dice. E come darle torto?
Il libro nasce d’estate, quando Gemma ha fatto mangiare a tutti i vicini di mare la sua pastina estiva con le zucchine, trasformando la spiaggia in laboratorio gastronomico e la pastina in un divertente tormentone. A Cosenza ora sta davvero nascendo un piccolo movimento: amici che sperimentano, assaggiano, fotografano, postano, recuperano ricette. E la chiamano. “Mi scrivono anche racconti”. Il senso, alla fine è questo: perché mai un pancake quando puoi avere la ‘nchiambara? Perché mai una quiche quando c’è il tortano? E quando le chiedo se sappia fare i cullurielli (o come cavolo si scrive) solo per affettuosa cortesia non ruggisce: “Come si fa a essere cosentini e non saperli fare? Cosenza è la città della Madonna del Pilerio, dei lupi, della Fiera di Sam Giuseppe e dei cullurielli” (la trascrizione della parola impronunciabile è sempre la mia). La prefazione è firmata da Uffa, il cagnolino adorato, presente alla presentazione sulla terrazza dell’editore Pellegrini come un critico gastronomico a quattro zampe. Gemma parla delle sue padelle come fossero armi sacre: “Toglietemi tutto ma non le mie padelle”. Perché la padella è casa, è mamma, è vita. E soprattutto è lo scudo che la protegge dalla cucina molecolare e da tutto ciò che minaccia la semplicità. “Perché tra l’alta cucina e il cibo spazzatura, ricorda Gemma, c’è un mondo bellissimo, autentico, saporito, economico e nostro. Un mondo che parla calabrese e, da oggi, anche… pastinese”. E allora, come si dice a casa Altimari: pigliamu ’a padella e cucinamu, ca è tardu! (redazione@corrierecal.it)
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