‘Ndrangheta, la vendetta dei Maiolo e la Strage di Ariola che «ha segnato la storia criminale delle Preserre»
La memoria del pm ripercorre l’agguato del 2003 in cui morirono tre persone e che segnò la svolta nella faida. Chiesto l’ergastolo per Francesco Capomolla

VIBO VALENTIA Una strage cruenta che «ha segnato la vita e la storia» di interi territori, ridisegnando gli assetti criminali delle Preserre vibonesi. Tre i morti lasciati a terra, una quarta persona ferita in una vicenda omicidiaria che si inserisce in una sanguinosa faida: il 25 ottobre 2003 muoiono Stefano Barilaro, Francesco e Giovanni Gallace, mentre riesce a sopravvivere una Antonio Chiera. A sparare gli oltre 140 proiettili un commando composto da più persone. Tra queste, secondo l’accusa, Francesco Capomolla, imputato nel rito abbreviato del processo Habanero. Per lui la Dda, lo scorso 17 novembre, ha chiesto la condanna all’ergastolo.
Chiesto l’ergastolo per Francesco Capomolla
In una lunga memoria, il pm Andrea Buzzelli ha ripercorso la vicenda omicidiaria «che ha decretato in maniera indiscussa a chi spettasse il comando di quella zona». Il movente della strage di Ariola sarebbe legato alla faida tra i Loielo e i Maiolo e, in particolare, agli omicidi avvenuti negli anni ’90 di Rocco Maiolo e Antonio Maiolo, quest’ultimo fatto di sangue «imputato a Enzo Taverniti, poi divenuto collaboratore di giustizia, e Francesco Gallace». Si tratta di casi di lupara bianca, corpi scomparsi nel nulla che – secondo la ricostruzione del pm – avrebbero portato alla vendetta dei rispettivi figli Angelo Maiolo, Francesco Maiolo (cl. 79) e Francesco Maiolo (cl. 83), imputati nel filone ordinario di Habanero. «Da una parte c’è la voglia, la necessità, l’esigenza di vendicare l’uccisione dei propri rispettivi padri» spiega il pubblico ministero nella requisitoria, dall’altra «la necessità di riscattare il comando di quel territorio».
Il tentato omicidio di Enzo Taverniti
Il pm, nel descrivere il contesto criminale, offre una minuziosa mappa del locale di Ariola, che comprende i territori di Soriano, Sorianello, Gerocarne, Acquare, Dasà, Arena e altri, così suddivisi: «i Gallace in particolare erano egemoni sul territorio di Arena e Dasà», mentre su Acquaro, paese d’origine dei Maiolo, avrebbe avuto potere Enzo Taverniti, tra le altre cose cugino dei Maiolo ma vicino ai Loielo, stesso rapporto di parentela di Francesco Capomolla. «Stiamo parlando di tutti cugini tra loro di primo grado, ciò non toglie che tra loro se si deve si uccide» afferma il pm. Sulle vicende criminali di Acquaro, un ruolo importante lo avrebbero giocato gli Emanuele, impegnati in una faida con i Loielo. Il duplice omicidio, avvenuto nel 2002, di Giuseppe e Vincenzo Loielo avrebbe spianato la strada al ritorno dei Maiolo. In questo contesto nasce il tentato omicidio di Enzo Taverniti, una vicenda chiave nella storia criminale del territorio, sfuggito per poco alla “trappola” organizzata da un commando di più persone, reato per il quale è intervenuta la prescrizione dato il lungo intervallo di tempo trascorso.
Il giorno della strage
È qui che entra in gioco Michele Ganino, collaboratore di giustizia e storicamente vicino alla famiglia dei Maiolo. Insieme a Taverniti racconta di come nei giorni successivi i Maiolo si sarebbero convinti che, ripercorre il pm, «dovevano finire di portare a compimento il piano che avevano già ideato e programmato e questo piano voleva dire la materiale uccisione, eliminazione tanto di Taverniti Enzo quanto dei Gallace che operavano sul loro territorio». Questo per evitare che, dopo l’agguato mancato a Taverniti, «che era un tutt’uno con i Gallace», ci sarebbe stata una risposta violenta da parte loro. «L’ideazione di questo progetto era stata fatta dallo stesso Capomolla Francesco, Maiolo Angelo, Maiolo Francesco (classe ’79) e Maiolo Francesco (classe ’83)» si legge nella memoria. Invano il tentativo di coinvolgere nel piano anche Michele Ganino, che a suo dire si sarebbe rifiutato di partecipare: «Michele Ganino dirà che Angelo Maiolo in quella stessa circostanza gli dirà: “Leggi e guardati i giornali, perché a breve saprai quello che è successo, quello che andremo a fare”». Il 25 ottobre un commando di uomini, come ricostruito dal pm sulla base delle dichiarazioni della quarta vittima ferita, «usciti a un certo punto dai cespugli iniziano a sparare all’impazzata contro la loro macchina, freddano immediatamente sul colpo Francesco Gallace alla guida, uccidono sul colpo Giovanni Gallace alla guida e feriscono anche entrambi, sia lui sia il Barilaro». Riuscirà a scappare solo grazie allo scoppio di un vetro: «Ricorda – continua nel racconto il pm – il killer vestito con abbigliamento mimetico e un passamontagna nero che lo guarda, si accorge lui dice che è vivo, probabilmente lo riconosce e lo lascia vivere». «Sostanzialmente il commando pur di ammazzare Gallace Francesco non si crea il minimo scrupolo nell’ammazzare tutti coloro che erano con lui e questo è un fatto che poi verrà condannato da tutti gli stessi appartenenti allo stesso gruppo criminale». (ma.ru.)
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