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Calcio e ’ndrangheta: il grande silenzio sul lato oscuro delle curve

L’allarme nei giorni scorsi del sostituto procuratore nazionale della Direzione nazionale Antimafia e Antiterrorismo Antonio Ardituro su un fenomeno ancora troppo sottovalutato

Pubblicato il: 08/12/2025 – 19:04
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Calcio e ’ndrangheta: il grande silenzio sul lato oscuro delle curve

Quando il sostituto procuratore nazionale della Direzione nazionale Antimafia e Antiterrorismo Antonio Ardituro, pochi giorni fa, in un seminario all’Università Lumsa dal titolo “Le mafie nello sport. Lo sport contro le mafie”, ha parlato con tono grave e volto segnato di «un problema enorme» che riguarda serie A e B, l’allarme è passato quasi in secondo piano, come un tema che si conosce da tempo ma su cui nessuno può fare molto. E invece quelle sue parole meritano di essere scandagliate: perché raccontano di un calcio che non ha più nulla di sportivo, se non la facciata.

Il dossier “curve mafiose” non è una novità, ma il dibattito sì


Le indagini più recenti, culminate nell’estate-autunno 2024 con il maxi blitz ai danni delle curve di Milan e Inter, hanno mostrato con chiarezza una rete occulta di interessi criminali. Sedici ultras delle due curve (compresi leader storici) sono stati condannati per associazione a delinquere aggravata dal metodo mafioso, estorsione, traffico di biglietti e protezione nei parcheggi, sfruttamento dei servizi allo stadio e persino traffico di droga. Al centro di tutto, l’omicidio di Antonio Bellocco (nome legato alla ’ndrangheta) assassinato per mano di un ex capo ultrà dell’Inter, Andrea Beretta. Un regolamento di conti in piena regola, innescato dalla lotta per il controllo del “business curva”: biglietti, abbonamenti, bar, parcheggi, merchandising. Insomma, San Siro come terreno di scontro tra clan, più che tempio del pallone. Eppure, i riflettori mediatici lo hanno trattato come cronaca nera fine a sé stessa, quasi un “una tantum”. Ma quel che emerge da indagini e sentenze è una struttura criminale radicata: le curve come ramificazioni operative delle organizzazioni mafiose, con interessi e capitali.
In questo quadro si inserisce anche l’operazione dello scorso 5 dicembre che ha scosso Roma. Quel giorno, la Direzione Distrettuale Antimafia ha fatto scattare le manette per Angelo Senese, fratello e storico numero due del più noto Michele “’o Pazz” Senese, figura centrale della criminalità capitolina. Con lui sono stati arrestati altri tredici soggetti, tra cui nomi già noti agli investigatori come Ettore Abramo, detto “Pluto” e per anni vicino all’ambiente ultras laziale orbitante attorno a Diabolik (ex capo degli Irriducibili ucciso nel 2019 a Roma), Girolamo Finizio, Kevin Di Napoli, e i fratelli Alvise e Leopoldo Cobianchi. Le accuse – tentato omicidio, possesso illegale di armi, tentato sequestro di persona, estorsione, tutte aggravate dal metodo mafioso – delineano un gruppo capace di muovere violenza, affari e minacce sulle strade della Capitale. Un’operazione che non riguarda direttamente il tifo in particolare, ma che lambisce ancora una volta quel mondo di relazioni, protezioni e potere che con il calcio, da anni, convive in simbiosi oscura.

Da Crotone a Foggia, la scorciatoia della criminalità nel calcio del Sud


Non si tratta di un fenomeno isolato o confinato in un’area specifica: come ricordato da Ardituro, lo spettro delle mafie si allunga anche verso Sud. Così, il 2025 è diventato un anno simbolo, in cui più società professionistiche sono finite sotto amministrazione giudiziaria: l’Fc Crotone in Calabria e il Foggia Calcio 1920 in Puglia – entrambe in serie C – e la Juve Stabia (Campania) in serie B.
Nel caso di Foggia è emerso un quadro inquietante: gruppi ultrà legati a camorra o mafia locale avrebbero orchestrato una serie di intimidazioni, attentati, richieste di “pizzo” per gestire sponsorizzazioni, biglietti, accrediti, assunzioni e servizi interni alla società. Perfino bombe rudimentali contro auto e una campagna di violenza per costringere la dirigenza alla resa. Le indagini legate al procedimento Glicine-Acheronte hanno rivelato che, negli ultimi dieci anni, la gestione economica dell’Fc Crotone (sicurezza, ingressi allo stadio e vendita di biglietti e abbonamenti) è stata sottoposta a condizionamenti da parte di cosche locali di ’ndrangheta. Secondo gli investigatori, le organizzazioni criminali controllavano la selezione degli steward, la gestione degli accessi e la distribuzione dei tagliandi, spesso anche senza regolare emissione.

Le curve come extraterritori mafiosi: il doppio livello denunciato da Ardituro


Ardituro ha definito «malato» il rapporto fra tifoserie organizzate e club, perché spesso queste curve non sono semplici gruppi di tifosi, ma strutture criminali che operano come reti parallele, fuori dalle maglie del controllo statale e sportivo. Si parla di un “doppio livello” – da un lato l’ultrà che sventola bandiere e urla cori con sincera passione, dall’altro il boss che impone dazi, comanda turni di steward, controlla i parcheggi e tanto altro. Un sistema in cui lo stadio è solo la faccia visibile, mentre sotto scorre un fiume di denaro sporco, intimidazioni e affari illeciti.
«Abbiamo esempi clamorosi», ha sottolineato Ardituro in occasione del seminario, «dalle infiltrazioni di ’ndrangheta nelle tifoserie organizzate della Juventus, fino alle strutture criminali più radicate ai livelli alti della tifoseria di Milan e Inter, sfociate in regolamenti di conti con omicidi. E poi le vicende di “Diabolik” della Lazio, o fenomeni che in passato hanno interessato anche Napoli, di cui mi sono occupato personalmente».
Gli esempi recenti, dalle curve di San Siro ai casi di Foggia, Crotone e Juve Stabia, mostrano che la minaccia non è generica o potenziale: è concreta, strutturata, pervasiva. «Eppure, ci troviamo davanti a un fenomeno enorme», ha sottolineato Ardituro, «e sfido chiunque a dire che il dibattito pubblico o le istituzioni sportive se ne siano realmente occupate».
Il quadro complessivo è dunque inquietante: un calcio in cui il tifo organizzato, lontano dall’entusiasmo sportivo, diventa strumento di potere mafioso, e in cui la gestione dei club non è solo affare societario ma terreno di scontro e interesse per le organizzazioni criminali. La sfida, come suggerisce Ardituro, è far emergere questi legami, riportando la trasparenza e la legalità nelle curve e negli stadi, prima che l’ombra delle mafie diventi irreversibile. (f.v.)

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