Meloni, perché non cancellare il nostro debito (sanitario) come ha fatto con il Comune di Roma?
L’ultimo caso legato a una Pet attiva solo a Cosenza e su cui l’AO si è già mossa, dimostra che non può bastare la fine del commissariamento per dare una svolta al sistema regionale

LAMEZIA TERME Davanti ai ricorrenti casi, disservizi, emigrazione sanitaria ed attese estenuanti per una visita può bastare la (per ora solo annunciata) fine del commissariamento? L’ennesima notizia di una lunga serie – nove mesi per una Pet al Mariano Santo di Cosenza – rilancia la necessità di intervenire sulla programmazione e, allo stesso tempo, l’impossibilità di farlo per via di un piano di rientro che mette i paletti e sacrifica i territori.
La settimana scorsa la premier Giorgia Meloni ha cancellato il debito monstre del Comune di Roma con un emendamento da oltre 500 milioni di euro: fatte le dovute proporzioni e fatto salvo il rispetto per la Capitale, è lecito quantomeno sognare uno “sbianchettamento” simile per il debito sanitario della Calabria, ciò che permetterebbe di far tornare i calabresi a sperare in un servizio che assicuri la tutela del diritto alla cura, diritto costituzionalmente stabilito.
Quella Pet unica in Calabria (per adesso)
E se sul caso denunciato stamattina il direttore dell’Azienda Ospedaliera dell’Annunziata, Vitaliano de Salazar, contattato dal Corriere della Calabria assicura che l’AO si è subito attivata, non si può non annotare che quella Pet con contrasto Psma è unica nel suo genere in Calabria: il Policlinico di Catanzaro si sta attrezzando per poter effettuare a brevissimo questo esame, ma nel frattempo il polo cosentino di Medicina nucleare deve sopperire in solitaria alla richiesta di tutta una regione, nella sua provincia peraltro più vasta.
Veder sciogliere i legacci del piano di rientro e cancellare il debito – un governo “amico” sarebbe ben legittimato nel farlo, anche per ragioni di idem sentire politico – permetterebbe di programmare interventi nei territori.
Sarebbe una svolta da registrare tra un’emergenza ormai cronicizzatasi e qualche segnale positivo sia in fatto di strumentazioni che di performance. E, soprattutto, tanta buona volontà da parte di chi opera tutti i giorni in trincea, a cui non è certo seconda la pazienza di chi vede il proprio diritto alla cura quotidianamente negato. (redazione@corrierecal.it)
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