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‘Ndrangheta, la fuga dopo la Strage di Ariola e lo sfogo: «Vanno fermati»

Nella requisitoria il pm ripercorre i giorni dopo la mattanza del 25 ottobre 2003. Dal nascondiglio dai Forastefano ai confronti tra cugini

Pubblicato il: 10/12/2025 – 7:00
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‘Ndrangheta, la fuga dopo la Strage di Ariola e lo sfogo: «Vanno fermati»

VIBO VALENTIA Prima la mattanza, poi lo fuga e il nascondiglio con il supporto delle cosche cosentine. Ma anche il timore delle vittime sopravvissute che la ferocia dei killer continui. Il pm Andrea Buzzelli, nella requisitoria del rito abbreviato del processo Habanero, ricostruisce i giorni successivi alla Strage di Ariola, l’agguato in cui morirono Stefano Barillaro, Giovanni e Francesco Gallace per mano di un commando composto da più uomini che avrebbe voluto, secondo la ricostruzione della Dda, vendicare le morti di Rocco e Antonio Maiolo, avvenute anni prima in una sanguinosa faida che ha decretato il ritorno al potere dei Maiolo sui territori delle Preserre vibonesi. Imputati con l’accusa di aver compiuto la strage sono i fratelli Angelo e Francesco Maiolo (cl.79), il cugino Francesco Maiolo (cl.83) e Francesco Capomolla. Per quest’ultimo è stato chiesto nel rito abbreviato l’ergastolo.

Lo sfogo: «Vanno fermati»

Oltre alle dichiarazioni della quarta persona ferita nella strage, tentato omicidio per cui è intervenuta però la prescrizione, l’accusa si fonda sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Tra questi, Enzo Taverniti, un mese prima della strage vittima di un tentato agguato. Appena dopo la mattanza del 25 ottobre 2003 – ripercorre il pm – proprio Taverniti si sarebbe sfogato lamentando la ferocia con cui erano stati uccisi «tre innocenti»: «Non appena viene avvisato del fatto si lascerà ad un lungo sfogo con il cugino e rappresenteranno proprio come si debba essere totalmente fuori di testa per arrivare a commettere un atto così cruento» racconta l’accusa. Un omicidio senza scrupoli, tanto da far indignare Taverniti che avrebbe spiegato «sostanzialmente come un’azione del genere non possa essere giustificabile in alcun modo neanche all’interno delle dinamiche e delle logiche ‘ndranghetiste criminali». Affronta la questione proprio «perché dice: “Vanno fermati, questi in qualche modo devono essere fermati”».

I confronti tra cugini

Nei giorni successivi alla strage, scattano anche gli arresti per il tentato omicidio di Taverniti. Angelo Maiolo, sfuggito alla retata, si sarebbe quindi nascosto da Antonio Forastefano alias il “diavolo”, ex collaboratore di giustizia. «Angelo Maiolo confessa di essere lui l’autore della strage innanzitutto ad Antonio Forastefano nell’immediatezza del fatto» racconta il pm. Ma per l’accusa altri due confronti, nell’impianto accusatorio per la strage, sono importanti: quello avvenuto in ospedale tra Taverniti e Francesco Maiolo (cl. 83), il quale «gli racconterà sostanzialmente tutto, perché, perché ci tiene a un chiarimento, ci tiene a prendere le distanze dal fatto che lo ha riguardato», e quello fra Taverniti e Angelo Maiolo. Per il pm il primo è un incontro importante in cui emerge «la straordinaria attendibilità e credibilità della sua testimonianza nel momento in cui va a riferire al cugino coloro che erano stati gli autori materiali della strage». Tra di loro avrebbe indicato anche Francesco Capomolla ed è proprio questo confronto, insieme alle dichiarazioni di Michele Ganino, che proverebbe secondo l’accusa il ruolo dell’imputato nella strage. (ma.ru.)

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