Il Catanzaro ha trovato la sua misura. Cosenza: l’orgoglio della squadra e le parole taciute
I giallorossi ora sanno quando colpire e quando soffrire. I ragazzi di Buscè continuano a respirare a fatica e il copione si ripete tra resistenza, silenzi e rimpianti

Ancora una vittoria, la terza di fila, per un Catanzaro che sembra aver finalmente trovato un equilibrio tattico e mentale. Ottimo pareggio esterno del Cosenza contro il forte Trapani, anche se la vetta ora si allontana. Stasera allo Scida scende in campo il Crotone (in silenzio stampa) contro il Casarano.
Il Catanzaro ha trovato la sua misura
Anche nel calcio arriva quel momento in cui smetti di cercarti allo specchio e cominci a riconoscerti. Il Catanzaro sembra aver imboccato proprio quella strada: non più la squadra ansiosa di dimostrare, ma quella consapevole di potersi permettere il lusso della pazienza. Tre vittorie consecutive che profumano di maturità, più di quanto dica la nuda statistica, più di quanto racconti perfino la classifica. Perché questa striscia – che sarebbe potuta essere ancora più corposa senza quel gol del Pescara in pieno recupero – nasce da un equilibrio finalmente ritrovato, non da un episodio fortunato.
Contro un Avellino ruvido, di quelli che ti obbligano a scegliere se sporcarti le mani o restare incompiuto, il Catanzaro ha scelto la via più difficile e più nobile: stare dentro la partita, senza isterie, colpendo quando serviva e difendendosi quando era necessario. Non una prova scintillante, ma una prova adulta. E spesso è proprio da lì che passano le stagioni migliori. La sensazione netta è che la squadra abbia finalmente accettato i propri limiti, trasformandoli in cornice per esaltare le qualità.
La difesa, dopo settimane di incertezza, ha ritrovato continuità e affidabilità: Brighenti e Antonini sembrano tornati a parlare la stessa lingua, quella dei tempi migliori. Davanti, il Catanzaro ha imparato a scegliere i momenti, a non forzare, a colpire con gli uomini giusti. In questo contesto si inserisce il ritorno al gol di Cisse, che non è solo una buona notizia ma un manifesto. Diciotto anni, numeri da categoria superiore e quella leggerezza ancora acerba che può diventare un’arma devastante. Non è ancora un giocatore finito (e meno male) ma è già una risorsa che sposta equilibri, soprattutto se inserita in un sistema che non lo costringe a fare tutto e subito. La sua crescita, anche lontano dai riflettori, sarà uno dei termometri della stagione.
Il dato forse più significativo, però, è quello comparativo: 25 punti dopo 16 giornate. Più del Catanzaro dell’anno scorso (20), meno di quello scintillante di due stagioni fa (30). Ma i numeri, da soli, raccontano solo metà della storia. L’altra metà parla di una squadra in netta crescita, dentro la zona playoff, non molto lontana dalla vetta e soprattutto con la sensazione di avere ancora margini veri. Merito anche di un allenatore giovane, Aquilani, che ha saputo attraversare polemiche e diffidenze senza farsi travolgere, lavorando in silenzio fino a trovare la quadra. Il Catanzaro oggi non promette miracoli, ma offre certezze. Ed è già molto.
Crema: la squadra ha ritrovato lo spirito delle stagioni migliori: equilibrio, sacrificio e qualità al servizio del collettivo. In questo contesto emergono i singoli, non solo Cisse e Iemmello, ma anche Pittarello, Pontisso e Petriccione, finalmente funzionali a un’idea chiara. E il bello è che il margine di crescita resta ampio. Dallo stadio di Catanzaro è arrivato un messaggio che va oltre il calcio. Altra crema di giornata riguarda i tifosi che prima del fischio d’inizio, si sono uniti in un gesto di grande sensibilità, riempiendo il campo di peluche tra gli applausi generali. Un’iniziativa pensata per regalare un sorriso ai bambini in difficoltà, soprattutto nel periodo natalizio.
Amarezza: non c’è una vera amarezza, stavolta. Al massimo un lieve rimpianto: se questo equilibrio fosse arrivato prima, oggi forse il Catanzaro guarderebbe tutti dall’alto. Ma il calcio non si gioca con i se. E questo Catanzaro, finalmente, lo sa.
Cosenza: l’orgoglio della squadra e le parole taciute
C’è una sconfitta che, col passare dei giorni, non smette di fare rumore. Quella di Foggia, maturata due settimane fa, oggi pesa più di ieri perché si incastra perfettamente nel mosaico imperfetto del Cosenza di questo finale di 2025. Quella volta non è stata solo sfortuna, né solo i rigori sbagliati da Garritano: quella volta è stato il primo segnale evidente di una squadra arrivata al limite, fisico e mentale, dopo mesi vissuti sempre in apnea.
Il Cosenza di Antonio Buscè è così: orgoglioso e resistente fino all’ostinazione, incapace di arretrare di un centimetro, ma stanco, accorciato negli uomini e nelle soluzioni. Gli infortuni di Cimino e Mazzocchi hanno scavato solchi profondi in un organico già ridotto all’osso. Eppure, nonostante tutto, la squadra continua a dare l’impressione di potersela giocare con chiunque. Il problema è ciò che manca intorno, più che ciò che c’è e non c’è in campo.
In questo contesto, lo sfogo di Buscè della scorsa settimana è stato uno spartiacque. Parole forti, forse inevitabili, certamente sincere (gruppo «mentalmente cotto», lavoro «logorante», «problemi veri di organico»). Un messaggio che ha colpito nel segno, tanto da produrre una reazione: il silenzio. Imposto, suggerito o semplicemente conveniente, poco importa. Resta il fatto che da quel momento l’allenatore ha smesso di parlare. Almeno fino a ieri pomeriggio, giorno della ripresa degli allenamenti al San Vito-Marulla, quando attraverso un video di un minuto e mezzo postato sui canali social del club, Buscè ha detto la sua sulla partita di Trapani (visto che non lo aveva fatto dopo il 90’). Null’altro. Nessun giornalista presente, nessuna domanda a cui rispondere e nessun riferimento, com’era ovvio attendersi, alle sue esternazioni post-Picerno. Non è difficile immaginare che la decisione serva anche a evitare altre verità scomode, o decisioni drastiche. Ed è qui che il rammarico diventa più grande. Perché questa squadra, rinforzata appena quanto bastava in estate, avrebbe potuto legittimamente ambire al primo posto. Oggi invece il rischio concreto è quello di vivere una stagione come occasione persa. Immeritata per i calciatori, che continuano a battersi. Meno sorprendente per una città ormai abituata a vivere il calcio come una battaglia quotidiana. Contro il Trapani, su un campo difficile e contro un avversario vero, il Cosenza ha messo in scena l’ennesima prova di cuore e qualità. Nonostante la stanchezza cronica e le rotazioni ridotte al minimo (soltanto due i cambi effettuati). Sono loro, i giocatori, l’unica immagine luminosa in un finale di 2025 che per il calcio cosentino ha contorni durissimi che non si dimenticheranno mai.
Crema: Beretta, al primo gol in rossoblù, Vettorel con le sue parate e una squadra che merita applausi continui si prendono la crema di questa settimana. Con loro anche Simone Mazzocchi: attaccante di categoria superiore, visceralmente legato alla maglia e tremendamente sfortunato. L’augurio, sincero, è di rivederlo presto in campo.
Amarezza: Gianluca Longobardi sabato scorso ha segnato nel recupero regalando tre punti pesantissimi alla Salernitana. Proprio lui, il terzino destro che serviva come il pane a Buscè, che il tecnico conosceva bene ed era pronto ad accogliere a Cosenza. A questo si aggiunge, inevitabilmente, il silenzio (o le parole taciute) imposto all’allenatore dopo la sfuriata realista di domenica 8 dicembre. E in fondo l’amarezza più grande è tutta qui: in ciò che si dovrebbe dire e non si dice, nelle scelte mancate, nel rumore assordante delle occasioni che scivolano via. (fra.vel.)
Foto Us Catanzaro e Cosenza calcio
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