REGGIO CALABRIA Tornano in carcere già da stasera il genero del boss Tegano, Eddy Branca, e l’uomo di fiducia di Paolo Rosario De Stefano, Andrea Giungo, imputati in uno stralcio del procedimento “Il Padrino”. Come chiesto dal pm Giuseppe Lombardo, Branca è stato condannato dal gup Filippo Aragona a 18 anni di carcere, mentre Giungo dovrà passare 14 anni dietro le sbarre. Per una serie di curiosi difetti di notifica che hanno reso nullo l’avviso di conclusione indagini, la loro strada processuale si è divisa da quella del resto degli imputati che hanno scelto l’abbreviato, ma questo non li ha salvati da una condanna pesantissima per aver gestito il clan Tegano durante la latitanza del boss Giovanni.
IL REGGENTE Genero del boss Tegano e capo di un ben preciso gruppo criminale cui nel tempo sono state delegate diverse attività, dalle estorsioni alle partecipate, Branca è considerato uno dei principali anelli della colonna vertebrale degli arcoti. Figura fondamentale nell’organigramma del clan, per il pentito Roberto Moio, Branca «fa parte della cosca e ha un legame particolare con Michele Crudo e Carmine Polimeni in relazione alle tangenti New labor». Un legame, quello fra Branca e Crudo, riscontrato grazie alle intercettazioni in carcere, che hanno permesso agli inquirenti di scoprire come proprio grazie al cognato, anche da dietro le sbarre, il reggente continuasse a dare ordini e a impartire direttive, ma anche a comunicare notizie riservate che nonostante la detenzione riusciva ad acquisire.
IL DELEGATO Secondo gli inquirenti invece Andrea Giungo è l’uomo delegato da Paolo Rosario De Stefano a rappresentarlo, anche durante gli anni della detenzione, nella gestione delle partecipate di sua competenza. A tratteggiarne in dettaglio il ruolo è stato Salvatore Aiello, ex responsabile tecnico della Fata Morgana, oggi collaboratore di giustizia, che al pm Lombardo ha spiegato come fosse proprio Giungo l’uomo che puntualmente si presentava per riscuotere la “tassa di sicurezza” o impartire direttive. Ma Giungo – ha spiegato Aiello – non si presentava sempre da solo. «Prima parlavo io solo con Giunco o con.. poi c’era questo.. questo.. questo signore davanti perché dice che dovevano sentire tutti e due.. sia il.. il rappresentate di… di… di Rosario… che il rappresentante di.. di De Stefano Giuseppe e c’era questo.. questo Zappia che c’era .. che .. che partecipava a sti… a sti incontri… quando chiedevano i soldi».
LE GUERRE INTESTINE Per l’accusa sono entrambi soggetti di vertice del clan Tegano, fotografato a partire da uno dei momenti più delicati della sua storia: il riassestamento all’indomani della “scomparsa” del reggente Paolo Schimizzi. Secondo alcune ipotesi investigative, confortate dalle parole di diversi pentiti, il rampollo degli arcoti sarebbe stato sacrificato dalla sua stessa famiglia, con l’assenso del boss Giovanni Tegano. Un’esecuzione che sarebbe alla base delle fratture – tutte interne al clan – fotografate dal procedimento Il Padrino. Da una parte si arroccheranno dunque Giuseppe Tegano e i suoi familiari, dall’altra il resto della famiglia accusata di essere all’origine della scomparsa di Schimizzi. Un’ulteriore spaccatura si creerà fra i generi del latitante, Crudo, Polimeni e Branca ed i nipoti del boss Antonio Polimeni, Angelo e Franco Benestare. Tutti conflitti monitorati – e spesso ricomposti – da Giovanni Tegano in persona, che stando a quanto emerge dal fermo, nonostante la latitanza non ha mai smesso di seguire da vicino le sorti e le evoluzioni della famiglia. O almeno, questo è quanto si evince da intercettazioni, pedinamenti, attività di videosorveglianza che negli ultimi dieci anni sono stati disposti nei confronti degli esponenti del clan Tegano. Attività grazie alle quali i pm sono stati in grado di tracciare un quadro preciso dei ruoli e dei rapporti interni agli arcoti.
a. c.
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