di Alessia Truzzolillo
VIBO VALENTIA La mano armata è stata quella del più piccolo, 15 anni appena. I due fratelli del ragazzo, maggiorenni, erano partiti per l’America ma lui era rimasto. Un malore, disse la madre agli investigatori il giorno dopo l’omicidio del suo amante, Antonio De Pietro, funzionario nell’Ufficio del lavoro di Vibo Valentia trovato morto dal custode del cimitero di Piscopio, frazione di Vibo Valentia l’11 aprile 2005. Gli avevano sparato all’interno della sua auto, vicino al camposanto, seduto al posto di guida, lo sportello del passeggero era aperto. Gli elementi c’erano tutti per chiudere il cerchio intorno a quella morte già nel 2005 ma il gip al quale si era rivolta la Procura di Vibo Valentia non si fece persuaso. Sono trascorsi altri 15 anni e sono state necessarie le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia del calibro di Andrea Mantella e Raffaele Moscato e l’attività investigativa e i riscontri della Squadra Mobile, coordinata dalla Dda di Catanzaro di Nicola Gratteri, coadiuvato dal pm Andrea Mancuso, per far fare un primo passo avanti ad una storia di sangue che ancora mostra qualche lato oscuro da illuminare. Mercoledì, infatti, la Squadra Mobile di Vibo, guidata da Giorgio Grasso, ha tratto in arresto Michele Fiorillo, alias Zarrillo, 34 anni e Rosario Battaglia, alias Sarino, 36 anni perché in concorso con l’allora 15enne Rosario Fiorillo (oggi 30enne ma all’epoca dei fatti minorenne per cui si procede separatamente), e in concorso con altre persone in corso di identificazione avrebbero partecipato all’esecuzione di Antonio De Pietro, reo di essersi innamorato della donna sbagliata scatenando l’ira di un’intera famiglia. Lei, Maria Concetta Immacolata Fortuna, aveva lasciato il marito, Giuseppe Fiorillo, che non l’aveva presa bene e, stando alle indagini all’epoca condotte dai carabinieri, avrebbe picchiato e minacciato De Pietro. La relazione andava avanti dal 2002. A luglio 2004 l’auto di De Pietro viene presa a bersaglio da colpi d’arma da fuoco. A dicembre la danno alle fiamme. Sempre a Vibo, mentre è parcheggiata sotto l’Ufficio del lavoro. L’uomo rivela a un ufficiale di polizia giudiziaria che non ritiene che quelle azioni intimidatorie siano da riferirsi al suo lavoro quanto alla sua relazione sentimentale osteggiata dalla famiglia della sua amante.
SOLDI E SANGUE Anche la moglie di Antonio De Pietro era a conoscenza di quella relazione. Aveva persino il numero di lei, la chiamava. La donna racconta agli investigatori che a volte l’amante del marito le rispondeva male altre volte no. La moglie tradita era stata in un’occasione contattata dalla sorella di Immacolata Fortuna, si erano viste e questa le aveva intimato di accorciare quel guinzaglio troppo lungo del marito altrimenti sarebbe finito “a ricotta”. La stessa sorella di Immacolata Fortuna avrebbe poi incontrato De Pietro dicendogli che o lasciava stare quella relazione o andava a vivere con la sorella. Lui promise di darle una risposta entro due mesi. Eppure la relazione era già solida, importante, allacciata stretta da due conti correnti in comune con un bel po’ di denaro dentro (in uno c’erano 45mila euro), frutto della vendita di due proprietà di lei. Segno di un progetto di condividere il futuro. Immacolata Fortuna stava economicamente bene, oltre alle proprietà, dicono gli investigatori, aveva un buon lavoro. Quando aveva lasciato il marito, annotano gli investigatori, aveva condiviso la casa con la sorella che si occupava dei tre ragazzi e gestiva il denaro di lei. Ma anche su questo De Pietro si era messo in mezzo, e aveva convinto Immacolata Fortuna a non fare gestire il proprio denaro dalla sorella che era stata poi costretta a trovare un lavoro come donna delle pulizie. Anche il cognato di lui aveva chiamato lei per dirle di lasciar stare quella relazione. Ma non c’era stato nulla da fare. Nonostante avessero tutti contro, ognuno con le proprie ragioni e interessi, a relazione era andata avanti. Fino all’11 aprile 2005.
IL GIRO DI BOA CON I COLLABORATORI Raffaele Moscato era legato alla cosca dei Piscopisani. Nel 2015 racconta all’allora pm della Dda di Catanzaro, oggi procuratore capo di Vibo Valentia, Camillo Falvo, che a uccidere De Pietro è stato Rosario Fiorillo. «So che questo omicidio è stato commesso da Rosario Fiorillo, quando aveva solo 15 anni – racconta Moscato –; questo me lo disse lui dicendomi anche che lo aveva commesso con una 3.57 magnum a tamburo, lo aveva voluto lui perché quest’uomo stava con sua madre ed era stato organizzato da Rosario Fiorillo, Rosario Battaglia (cugino del killer, ndr) e da Michele Fiorillo». In un secondo interrogatorio, davanti al procuratore Falvo e al procuratore Giovanni Bombardieri, oggi capo della Dda di Reggio Calabria, Moscato dichiara che Rosario Fiorillo gli aveva raccontato di avere convinto Antonio De Pietro ad accompagnarlo al cimitero perché «voleva vedere la nonnina». Secondo il collaboratore Battaglia e Michele Fiorillo dovevano uccidere la vittima designata insieme, ma poi l’ha uccisa Rosario Fiorillo da solo, indossando un paio di guanti. E gli altri due, che erano nelle vicinanze si sono prodigati a portarlo via dal luogo del delitto. Moscato non ha dubbi: «Erano questi tre gli organizzatori».
NON SI UCCIDONO LE MAMME Moscato è convinto che Rosario Fiorillo volesse completare il delitto d’onore uccidendo la propria madre e sarebbe però stato fermato da Rosario Battaglia «in quanto, come regola, non si ammazzano le mamme».
«Premere materialmente il grilletto è stato “Pulcino”», racconta Andrea Mantella nel 2016. «Che qui era una vendetta familiare perché lo sapevano anche le sue zie femmine – dice il collaboratore – che dovevano lavare questa onta perché la sua mamma la stava facendo sporca diciamo… Perché lei praticamente si era invaghita totalmente e si mangiava tutti i risparmi della famiglia praticamente». Mantella racconta che è stato proprio il ragazzo a sparare nel luglio del 2004 alla macchina di De Pietro e tutti sapevano che era stato lui «che si era tolto le corna addosso». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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