di Francesco Donnici
VIBO VALENTIA Se nascere è un dono, rinascere è un’opportunità. Nella “Vibo liberata”, epicentro della scossa provocata dagli arresti avvenuti il 19 dicembre 2019 nell’ambito dell’operazione “Rinascita-Scott”, oggi si respirano aneliti di resistenza, ansia per il futuro e la consapevolezza che non è ancora tempo di abbassare la guardia.
«La manifestazione del 24 dicembre 2019 simboleggia uno spartiacque». “Rinascita” rappresenta uno snodo cruciale per la provincia di Vibo Valentia, che porta dritto al più grande processo contro la ‘ndrangheta dove la giustizia sarà chiamata a porre nero su bianco, grado dopo grado in via definitiva, la storia di opposti intrecciati da troppo tempo.
Tra gli arresti e il processo, si è frapposta una pandemia mondiale che ha scombinato la carte in tavola chiedendo a singoli e collettivo una revisione delle priorità. L’emergenza è da sempre humus fertile per il potere mafioso che, come ha evidenziato anche la Dia nella seconda relazione semestrale del 2019, pubblicata la scorsa estate, avrà la possibilità «da un lato di esacerbare gli animi, dall’altro di porsi come welfare alternativo, valido ed utile mezzo di sostentamento e punto di riferimento sociale».
La ‘ndrangheta prospera oltre che nelle difficoltà, anche nei ritardi e nelle assenze dello Stato e per questo, onde vanificare quanto conquistato da un anno a questa parte, autorità, imprenditoria sana e società civile convengono su un punto: «Alla ripartenza dovremo farci trovare pronti. E lo saremo».
«Ieri mattina i carabinieri del Ros ed il Comando provinciale carabinieri di Vibo Valentia, con il supporto dei comandi provinciali territorialmente competenti, di personale del gis, del primo reggimento paracadutisti Tuscania, del Nas, del Tpc, dei quattro squadroni eliportati cacciatori e dell’ottavo elinucleo, hanno dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Catanzaro, su richiesta della locale Procura Distrettuale Antimafia nei confronti di 334 indagati (per un totale di 416 misure cautelari, divenute poi 479), ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso» e una lunga lista di reati fine. Era il 20 dicembre 2019.
«La mattina dell’operazione è stata importante. – racconta il Colonnello Bruno Capece, comandante provinciale dei carabinieri di Vibo, al Corriere della Calabria – Il provinciale era il punto di raduno di tutti gli arrestati che sarebbero poi stati smistati nelle carceri della Calabria. Si è fatto un lavoro immane che in Italia non si vedeva fin dai tempi di Falcone e Borsellino a Palermo».
Oltre agli arresti, quella mattina colpì un’altra cosa. «Ricordo le persone dai palazzi che dimostravano vicinanza; offrivano caffè nei bar; lasciavano fiori sui nostri parabrezza». Fu anche questa spinta a ispirare il procuratore Nicola Gratteri nel suo invito alla società civile a “rimboccarsi le maniche e occupare gli spazi liberati”.
Ancor più della data dei primi arresti, a passare alla storia della Calabria è stato il 24 dicembre, giorno della manifestazione organizzata dal coordinamento provinciale dell’associazione Libera di Vibo Valentia, che ha visto la partecipazione di diverse migliaia di persone da tutta la regione. «Quel giorno è stato molto emozionante ed inaspettato. – continua Capece – In passato, sotto le caserme, avevamo avuto manifestazioni di cordoglio, come dopo l’attentato di Nassiriya, ma mai quel tipo di ovazioni. È stata una festa, ma anche un impegno a non mollare e fare sempre di più».
A raccontarci il significato di quella marcia è Giuseppe Borrello, coordinatore provinciale vibonese di Libera: «Subito dopo gli arresti, abbiamo sentito la necessità di fare in modo che le manifestazioni di gratitudine e solidarietà nei confronti delle forze dell’ordine non rimanessero casi isolati, ma si giungessero nel sentimento di una comunità intera, che poi si è tradotto in quello di un’intera regione. Come slogan abbiamo scelto “finalmente libera” proprio perché interi territori erano stati liberati: dai Mancuso, dai Lo Bianco, dai Bonavota, dagli Accorinti. E allora il senso di liberazione si è tradotto in quella grande partecipazione e in quell’applauso interminabile».
«Con la manifestazione – continua Borrello – abbiamo dimostrato che c’è una società civile viva e attiva che non è rassegnata. Molto spesso, le persone avevano quella reazione dentro di sé ma non si schiaravano a viso aperto. Per questo rimane un fatto unico nella storia di questo paese».
L’anno 2020, però, passerà alla storia per la pandemia da Covid-19. Un’emergenza sanitaria evoluta in crisi economica e sociale che ha accentuato le vulnerabilità e il divario tra le classi, dilatando le voragini entro le quali si incunea la ‘ndrangheta, potenza economica nei mercati finanziari globali, “welfare alternativo” in assenza di quello statale.
«Se uno è disperato, non si pone il problema che la persona alla quale si rivolge è un mafioso». A parlare è Carmine Zappia, commerciante della provincia di Vibo e testimone di giustizia dopo aver denunciato i suoi aguzzini, appartenenti proprio alla potente famiglia Mancuso. Il suo tabacchino, a Nicotera, era stato chiuso dopo la denuncia, subendo in parte il contraccolpo di questa scelta, unica in quel territorio. Ma proprio nel pieno della pandemia, lo scorso 4 settembre, in controtendenza rispetto alle difficoltà di tante attività commerciali, Zappia ha riaperto per lanciare ancora una volta un segnale. Tante le persone che si sono strette in una abbraccio ideale in quell’occasione.
«Quando ho denunciato – dice Carmine Zappia – non ho tenuto in conto niente. L’unico obiettivo era di far finire quella storia, non sapevo a cosa stessi andando incontro, ma sapevo che era l’unica scelta possibile. Molti non si sentono toccati da questi fenomeni finché non li subiscono direttamente, ma qualsiasi danno per lo Stato – come un ponte o un strada che ti crolla sotto i piedi – ce lo dividiamo tutti». Quello iniziato da Zappia, così come i risultati giudiziari e sociali di “Rinascita”, sono parti di un percorso virtuoso che rischia di essere messo in discussione dai disagi indotti dalla crisi economica risultante dall’emergenza. Uno degli allarmi lanciati a più riprese è quello dell’usura. «Spesso le banche sono chiuse a riccio, quindi finisci per andare a chiedere dei soldi a questi “signori”, ringraziandoli pure. Ma chi lo fa non è consapevole a cosa va incontro. Quando stai perennemente sotto minaccia è come se tu non vivessi. L’ultimo anno per me era diventato più di un Inferno, venivano ogni mattina. Poi ho deciso di riappropriarmi della mia vita».
Ancora troppo presto per fare una stima concreta dell’entità dei “danni sociali” di questa pandemia. «Ad occupare quegli spazi, in assenza di relazioni vive, in questo periodo è stato il Covid. – spiega il colonnello Capece – L’azione posta in essere dall’autorità giudiziaria ha prodotto un calo sensibile dei reati, soprattutto di quelli di tipo violento, consumati con le armi e per i quali, fino a qualche anno fa, Vibo aveva raggiunto il primato nazionale in rapporto alla popolazione. Per quanto attiene i fenomeni estorsivi, i segnali sono positivi, tanto che spesso perseguiamo tentate estorsioni. L’usura è più complessa perché si tratta di monitorare fenomeni sociali e problematiche economiche che implicano un coinvolgimento anche subdolo delle vittime. È chiaro che la difficoltà economica rischia di avvicinare le persone a potenziali aguzzini. Alla ripartenza vedremo, ma anche noi ci faremo trovare pronti».
«Se lo Stato non arriva in maniera immediata e puntuale ad aiutare queste persone il rischio che si rivolgano a degli aguzzini c’è tutto. – dice ancora Giuseppe Borrello – Riscontreremmo così due battute d’arresto rispetto al nostro percorso: la perdita di fiducia dei cittadini nei confronti dello Stato; la constatazione dell’efficacia di un intervento di tipo repressivo ma non preventivo da parte dello Stato, quindi il disallineamento di tutti gli apparati statali nella lotta alle mafie e alla ‘ndrangheta nello specifico».
Eppure, quando lo Stato vuole, può. Lo scorso 16 dicembre è stata inaugurata l’aula bunker di Lamezia Terme dove verrà celebrata la fase dibattimentale del processo “Rinascita-Scott”. All’esito delle fasi preliminari, i rinvii a giudizio sono stati in tutto 355. L’associazione Libera si è costituita parte civile. «La costruzione dell’Aula Bunker è la dimostrazione che lo Stato, quando vuole, sa essere determinato e concreto, anche in Calabria. A livello simbolico è importantissimo che il processo venga celebrato qui perché per certi versi sarà il “processo dei processi”; – spiega sempre Borrello – sarà la sintesi di determinate situazioni che abbiamo vissuto e subìto in questi anni».
La presenza di Libera come parte civile, può essere importante anche per un altro aspetto. «Speriamo di poter replicare anche qui l’esperienza di altri territori dove è stato possibile portare intere scolaresche nelle aule di tribunale. Per i giovani può essere un’esperienza formativa, soprattutto per quelli che stanno camminando insieme a noi in questi anni».
«Abbiamo avuto difficoltà nel non costituirci in alcuni processi – aggiunge Borrello – e anche per questo volevamo esserci in un dibattimento che racchiude la vita criminale del territorio. “Rinascita-Scott” probabilmente ha solo iniziato a portare alla luce determinate situazioni, intrecci e legami tra ‘ndrangheta, massoneria e politica. Speriamo che altre inchieste in corso, come quella della Guardia di finanza sullo stesso Comune di Vibo, facciano ulteriore chiarezza. È uno dei diversi aspetti che abbiamo posto alla Commissione parlamentare antimafia. Aspettiamo che la giustizia faccia il suo corso affinché questo territorio venga liberato, ancora una volta». (redazione@corrierecal.it)
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