REGGIO CALABRIA «La cooperazione internazionale è l’unico mezzo per fronteggiare un crimine che non conosce più frontiere». Ed è proprio grazie alla collaborazione tra investigatori, procure e forze dell’ordine tra Sud America e Italia, che alle ore 20 (ora italiana) dello scorso 24 maggio è finita la latitanza di Rocco Morabito.
“U Tamunga”, tra i sovrani del narcotraffico internazionale, primo ricercato tra le fila della ‘ndrangheta, è stato sorpreso in un’abitazione di Joao Pessoa, a Nord del Brasile.
«Un’operazione da manuale», l’ha definita il procuratore capo di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, che nel corso della conferenza stampa convocata da remoto, ha passato in rassegna tutte le forze in campo con le quali l’ufficio reggino ha cooperato per giungere al risultato. «Una cooperazione leale e piena» tra Dda di Reggio e Torino, comando provinciale di Reggio, gruppo di Locri, polizia giudiziaria brasiliana, uruguaiana e tutte le forze coinvolte nel progetto “I can”.
Sull’esatta dinamica dell’arresto, la tipologia di locale nella quale il super latitante è stato trovato e soprattutto sui traffici attivi e soggetti coinvolti nel gruppo criminale, gli inquirenti non si sono sbilanciati. «La documentazione trovata nel luogo dell’arresto (si parla soprattutto di schede e apparecchi telefonici, ndr) sono ritenuti di grande interesse investigativo e sono ora al vaglio delle autorità sudamericane».
In queste ore Morabito, a bordo di un aereo militare, è stato trasportato da San Paolo a Brasilia.
«Rocco Morabito era considerato uno dei principali riferimenti del traffico internazionale di stupefacenti, per cui è già stato condannato a scontare una pena trentennale», dice il Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, che ha coordinato il tavolo degli interventi.
«Latitante da 23 anni, era stato tratto in arresto nel 2017 in Uruguay, – aggiunge – ma poco prima della sentenza di estradizione si è dato alla fuga sottraendosi ai controlli». Un’evasione d’impatto, dal tetto del penitenziario di Montevideo, secondo alcuni con l’aiuto degli uomini delle cosche della Piana.
Insieme a lui Vincenzo Pasquino, soggetto definito dal procuratore «di grande importanza internazionale». Anche per questo si è reso necessario l’impiego di gruppi inquirenti dall’Fbi alla Dea fino alla Procura della Repubblica di Torino. Sul territorio nazionale, infatti, fondamentale è stata la sinergia con la procura di Reggio, come evidenzia anche Anna Maria Loreto, che fornisce ulteriori dettagli sull’uomo trovato insieme a Morabito.
«Vincenzo Pasquino era latitante dacché coinvolto nell’operazione “Cerbero” in seguito alla quale risultava destinatario di misura cautelare». Elemento di spicco del locale piemontese di Volpiano, referente di Antonio Agresta, aveva esteso in maniera determinante la sua attività nel comparto del narcotraffico dopo l’arresto di altri due latitanti illustri, collegati alla ‘ndrangheta piemontese, Nicola e Patrick Assisi (ambedue destinatari di una condanna a trent’anni per traffico internazionale di stupefacenti), arrestati grazie alla cooperazione con la polizia federale brasiliana.
«Dopo il loro arresto – aggiunge Loreto – grazie al prosieguo delle investigazioni, è stata accertata un’escalation nella carriera criminale di Pasquino che prende l’eredità degli Assisi e diventa la “testa di ponte” coi cartelli sudamericani».
Emblematica è una frase, riportata dal procuratore ed estratta da una conversazione tra Pasquino e la moglie: «Sono persone – dice il latitante riferendosi agli uomini del cartello – che mi hanno cresciuto. Io non ho avevo un padre e non l’ho mai avuto. Mi hanno insegnato a leggere e scrivere».
Alla base del buon esito dell’attività investigativa c’è senza dubbio il progetto “I can” che, ricorda il Vicecapo della Polizia Vittorio Rizzi, ha permesso nell’ultimo anno «l’arresto di 14 latitanti in giro per il mondo» e che in questo caso ha visto in prima linea le autorità uruguaiane e brasiliane. Già in Uruguay, «dove sussistono proiezioni internazionali della ‘ndrangheta» dice il comandante Pasquale Angelosanto, Morabito era stato catturato mentre aveva occultato la sua identità svolgendo un’attività di commercio all’ingrosso di soia. In realtà, questa era una copertura per il soggetto che, nonostante la latitanza, continuava a governare il traffico di stupefacenti dall’Italia.
«Nel giugno 2019, nel corso delle indagini, emergono elementi indiziari che ci convincono della possibilità che si fosse rifugiato in Brasile dopo essersi allontanato dall’Uruguay». Da lì sono cominciate le intense ricerche che hanno portato all’arresto.
«Al momento del blitz era insieme a Pasquino in questa abitazione dove siamo giunti dopo un’attività di pedinamento», ha spiegato il comandante del reparto operativo del Ros Massimilano D’Angelantonio.
«Non aveva notato alcun movimento anomalo – aggiunge Angelosanto – per quanto facesse una vita abbastanza normale frequentato la spiaggia e locali pubblici. Non sembrava vivere da latitante».
Rocco Morabito è stato trasferito dalla polizia federale brasiliana in una località segreta. Il narcotrafficante calabrese, arrestato ieri in Brasile, è stato condotto all’aeroporto Castro Pinto di Joao Pessoa, capitale dello stato di Paraiba, a bordo di un suv bianco scortato da tre suv neri ed è stato fatto imbarcare in un aereo della polizia federale. Il luogo dove è stato trasferito Morabito «non sarà reso noto per la sicurezza del detenuto», hanno detto fonti del ministero della Giustizia. (redazione@corrierecal.it)
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