REGGIO CALABRIA Si nascondeva in un appartamento di un piccolo condominio ad Ardore Marina, Antonio Campisi, 30 anni, di Taurianova, considerato soggetto organico alla cosca Mancuso di Limbadi. All’alba di questa mattina il latitante è stato tratto in stato di fermo da un blitz sinergico del Gico del Nucleo di polizia economica finanziaria della Guardia di finanza di Catanzaro e della Squadra Mobile di Vibo Valentia. Campisi è accusato dalla Dda di Catanzaro del tentato omicidio di Domenic Signoretta avvenuto il 19 maggio 2019 a Nao di Ionadi, nel Vibonese.
Antonio Campisi è imparentato, per linea materna, con esponenti del clanMancuso, in particolare una zia materna è sposata con Giovanni Rizzo, figlio di Romana Mancuso, classe ’45, appartenente alla generazione degli undici, il ramo storico del clan Mancuso.
Il padre del latitante, Domenico Campisi, era un trafficante di droga, ucciso in un agguato di stampo mafioso a Nicotera il 17 giugno del 2011.
Secondo i racconti dei collaboratori di giustizia, a uccidere Domenico Campisi sarebbero stati Domenic Signoretta e Giuseppe Mancuso (cl. ’89), figlio di Pantaleone “l’ingegnere”. L’omicidio sarebbe stato dettato dal fatto che Domenico Campisi «trafficava droga con i Molè, tenendo Pantaleone Mancuso all’oscuro di tutto», dice il pentito Arcangelo Furfaro.
Proprio per questa ragione, ipotizzano gli inquirenti, Antonio Campisi avrebbe attentato alla vita di Signoretta: per vendicare la morte del padre.
Campisi avrebbe agito in concorso con Rocco Molè, classe ’95, elemento di spicco dell’omonima cosca alla quale il 30enne era legato, e altri due individui sui quali si cerca di fare piena luce.
I due sono partiti, stando alle ricostruzioni investigative, da Gioia Tauro alla volta di Nao di Ionadi il 16 maggio 2019 per effettuare una sorta di sopralluogo prima in prossimità dell’abitazione di Signoretta, poi vicino all’acquedotto dove poi verrà individuata la Fiat Uno rubata e poi incendiata con all’interno le armi impiegate per l’agguato. Il 19 maggio Molè e Campisi tentano l’agguato a Signoretta che sfuggì alla morte riparandosi dietro il muretto del cortile dell’abitazione nella quale si trovava, all’epoca dei fatti, ristretto agli arresti domiciliari in seguito a una condanna riportata per detenzione di un ingente quantitativo di armi. (ale. tru.)
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