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la riflessione

«Cosa dovrebbe insegnarci il Covid sull’uguaglianza e i diritti»

Ho il Covid da due giorni, certificato da due tamponi di diversa species, molto probabilmente contratto nel corso dei recenti esami tenuti in presenza.Devo dire che una tale (ancora) così breve e …

Pubblicato il: 01/02/2022 – 12:07
di Ettore Jorio*
«Cosa dovrebbe insegnarci il Covid sull’uguaglianza e i diritti»

Ho il Covid da due giorni, certificato da due tamponi di diversa species, molto probabilmente contratto nel corso dei recenti esami tenuti in presenza.
Devo dire che una tale (ancora) così breve e non entusiasmante esperienza, di quasi esilio, sta rappresentando per me un’ulteriore e triste lezione di vita.
Sarò, pertanto: bloccato in casa per sette giorni; tenuto lontano dai miei collaboratori di un secolo; allontanato dai problemi di salute pubblica che mi assillano ma che amerei tuttavia risolvere il più presto possibile, grazie all’opportunità offertami di esercitare il ruolo del consulente personale del neo-presidente della Regione Calabria; distante dai miei affetti, soprattutto dai miei nipoti, che tutti sappiamo quanto contano per un nonno (Draghi, docet).
Questi sono gli effetti di questa ingombrante e diffusa patologia, che prima o poi visiterà (ahinoi!) tutti, considerata la sua invasività di massa, che pare incontenibile.
Di tutto ciò, la cosa che più mi tedia non è l’obbligo di isolamento d’ufficio, fisico e sociale, è bensì la modalità del suo vissuto. Soprattutto se messa in relazione alle sue caratteristiche e alle modalità che, se analizzate in orizzontale, mettono in rilievo forti discriminazioni e diseguaglianze, pericolose per consolidare l’unità nazionale.
Al riguardo, pensavo stanotte proprio a questo. Alle comodità di cui godo da affetto da Covid, sia in termini di spazio che di assistenza percepita, messo a confronto con le condizioni altrui. Da quelle “godute” a chi è più sofferente di me, da chi è costretto a vivere nelle povertà finanziarie e strutturale, da chi è solo per difetto delle assistenze mediche che gli sarebbero dovute a mente della Costituzione, dalle convenzioni per la assistenza primaria messe a disposizione dal servizio sanitario nazionale, dalle (dis)attenzioni istituzionali, spesso per eccessivo carico della domanda, delle aziende della salute, delle Usca e giù di lì.
A tutto questo si aggiunge, come male estremo, che sono in tanti, in troppi, a “godere” di spazi domestici molto estremi, limitati ad assicurare le minime condizioni di salubrità, e spesso nemmeno quelle. Conosciamo tutti i quartieri popolari delle città, ove è davvero difficile accettare il quotidiano in condizioni di normalità e persino di civiltà e consentire isolamenti appropriati, indispensabili per evitare che il corpo ospite del Covid si trasformi in aspersorio malefico all’ingrosso.
Tante le famiglie costrette a vivere in pochi metri quadrati spesso stipati a tal punto da rendere difficile ogni genere di riservatezza. Da qui, è facile immaginare cosa succede in termini di misure cautelative del contagio.
Fatte queste considerazioni, è facile immaginare lo stato di tristezza, vissuto da un eletto dal fato, guardando dalla propria finestra ipotetica cosa succede fuori.
Persone umane costrette a vivere un ulteriore disagio, spesso vitale, nel disagio generale e generico, con licenza di non salvaguardare la salubrità dei conviventi, frequentatori dei medesimi servizi igienici, e costretti per l’occasione a dormire anche nelle cucine e nei garage.
Quindi, oltre parlare da nonno per i propri nipoti sarebbe il caso che tutti, proprio tutti (Premier in primis) cominciassero a pensare e decidere come nonni e papà degli altri, prioritariamente di quelli che non godono delle mie e altrui fortune.
La LIVELLA in tempi di Covid (e non solo) dovrebbe insegnarci qualcosa in più in termini di solidarietà reale e di uguaglianza.

*Unical

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