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L’udienza

“Testa di serpente”, il nascondiglio delle armi e i «metodi incisivi» dei “Banana”

Il racconto, in aula, di chi ha partecipato alle indagini sull’attività illecita di alcune consorterie criminali cosentine

Pubblicato il: 13/04/2022 – 13:37
“Testa di serpente”, il nascondiglio delle armi e i «metodi  incisivi» dei “Banana”

COSENZA Si torna in aula, per una nuova udienza del processo con rito ordinario in corso al Tribunale di Cosenza e scaturito dall’inchiesta “Testa di Serpente”. Il collegio giudicante, presieduto dal presidente Carmen Ciarcia, ha ascoltato le dichiarazioni di alcuni agenti di polizia giudiziaria in merito all’attività di alcune consorterie criminali cosentine impegnate nel traffico di droga. Su tutte, la famiglia Abbruzzese meglio conosciuta come “Banana”.

Il nascondiglio «sotterraneo» delle armi

Il primo dei tre testimoni a sottoporsi ad esame del pm e delle difese è Francesco Ciardullo, sovrintendente in servizio alla quinta sezione della Squadra mobile della Questura Cosenza. Uno degli agenti che ha preso parte all’operazione denominata “Job Center” portata a termine dalla Dda catanzarese nel settembre del 2015. Ciardullo mostra alcuni fotogrammi relativi ai video registrati dall’unica telecamera installata nei pressi dell’ultimo lotto di via Popilia, a Cosenza. Sei mesi di girato da giugno a febbraio con l’occhio ad alta definizione che inquadra l’area finita nel mirino degli investigatori. «C’era un costante via vai di soggetti che uscite dal portone di un palazzo si dirigevano nei pressi di un sotterraneo posto nello stesso stabile. A coprire l’ingresso “nascosto” c’era un camioncino rosso e un fusto di olio».
Il nascondiglio del racconto fornito dall’agente coincide con la confessione rilasciata in aula da Celestino Abbruzzese, detto “Micetto”, oggi collaboratore di giustizia. Il gruppo dei “Banana”, infatti, aveva nella disponibilità non solo droga ma anche armi. «Avevamo molte pistole poi trovate dalla polizia – dice Celestino Abbruzzese – erano nascoste all’ultimo lotto di Via Popilia». Sul luogo, il pentito fornisce ulteriori dettagli: «erano in buco in un muro di un palazzo, coperto da un bidone e da un camion di mia proprietà». Il posto era presidiato dai familiari dei “Banana”, ma come sottolinea Abbruzzese: «era visibile a tutti quelli che passavano dal palazzo». E infatti, il sovrintendente Ciardullo conferma i dettagli anticipati da “Micetto”. «Nel corso dei monitoraggi effettuati, oltre a coloro che facevano ingresso nel nascondiglio, c’era qualcuno all’esterno a presidiare la zona». «Ma chi aveva accesso al sotterraneo?», chiede il pm al teste. Che risponde: «Abbiamo identificato quattro persone: Luigi, Franco e Nicola Abbruzzese oltre ad Antonio Bevilacqua». Era il 14 gennaio 2018. Seguiranno altri monitoraggi e altri fotogrammi che ritraggono i quattro dirigersi nel nascondiglio. Secondo Ciardullo, «c’erano altre persone che stazionavano all’esterno: Marta Abbruzzese, Antonio Colasuonno, Claudio Alusci e soggetti non identificati».

L’estorsione e l’aggressione

Nel corso delle intercettazioni effettuate, il sovrintendente ricorda un episodio legato ad una aggressione poi subita da tale Antonio Russo connessa ad una vicenda estorsiva. Nelle captazioni telematiche, datate 21 marzo 2019 alle ore 19:00, Luigi Abbruzzese detto “Pikachu”, Marco Abbruzzese detto “Lo Struzzo”, Antonio Abbruzzese e Antonio Marotta discutono di un’aggressione che avrebbero dovuto perpetrare nei confronti di Russo per la vendita di un terreno dove lo stesso «aveva un’attività commerciale». Gli Abbruzzese – racconta Ciardullo – «volevano utilizzare metodi incisivi». Dal racconto del testimone emerge la volontà di alcuni membri dei “Banana” di ricorrere all’uso di un’arma. «Marco Abbruzzese parlava di una arma, ma si diceva sprovvisto di munizioni». In un’altra intercettazione, invece, «volevano prendere due macchine rubate, portare Russo lontano e bruciarlo». A tal proposito, il teste sottolinea come fosse ancora Marco Abbruzzese a proporre questo tipo di soluzione mentre «altri credevano fosse troppo». (f.b.)

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