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«Calabria patrimonio dell’umanità? Prima sia patrimonio della sua comunità»

Sempre più spesso, in Calabria, si invocano riconoscimenti Unesco per luoghi, monumenti, beni culturali ed ambientali. Accade in una regione nella quale, dall’Unità d’Italia in avanti, non si è fa…

Pubblicato il: 30/05/2022 – 8:15
di Francesco Bevilacqua*
«Calabria patrimonio dell’umanità? Prima sia patrimonio della sua comunità»

Sempre più spesso, in Calabria, si invocano riconoscimenti Unesco per luoghi, monumenti, beni culturali ed ambientali. Accade in una regione nella quale, dall’Unità d’Italia in avanti, non si è fatto altro che mortificare il valore, deprimere la dignità di tutto e tutti. Nessuna nostalgia per i Borboni, beninteso, nessun “si stava meglio quando si stava peggio”. Solo la constatazione che dopo il lungo sonno della storia, l’oblio della memoria, la perdita di “senso dei luoghi” (come recita il titolo di un bel libro di Vito Teti), si pretenderebbe, d’un tratto, che un’istituzione internazionale e rigorosa come l’Unesco (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura) – qualcuno dall’esterno cioè – dimostrasse apprezzamento per ciò che noi calabresi non abbiamo mai apprezzato e di cui, in gran parte, non conosciamo neppure l’esistenza.
Proprio in questi giorni, mentre io ed altri veniamo invitati a convegni per dimostrare l’alto gradiente culturale ed ambientale di questo o quel luogo della Calabria, migliaia di alunni delle scuole secondarie calabresi sono in viaggio verso le grandi città italiane. “Viaggi di istruzione” li chiamano. In realtà si tratta – fatte le debite eccezioni – di gite scolastiche costose, inutili, diseducative, consumistiche, che si traducono in veri e propri “depistaggi” educativi e pedagogici. Queste operazioni, infatti, abituano i ragazzi a pensare che i luoghi in cui vivono non valgono nulla. E fanno da traino ad una mentalità generale volta a negare ai giovani il diritto-dovere di conoscere la storia, la geografia, la letteratura, la natura, i paesaggi, la cultura della Calabria e perfino quei tanti, piccoli segni di economie resilienti e vocazionali di cui si occupano, al più, testate nazionali ed internazionali e che potrebbero invogliarli a restare, facendosi imprenditori di sé stessi. Dovremmo sempre di più pretendere, invece, che i nostri studenti vadano in viaggio di istruzione – qui la parola è più che mai opportuna – in Calabria. Magari dopo aver spiegato e narrato loro, durante tutto l’anno, la regione in cui vivono. Avranno tempo, se vorranno, di spostarsi al Nord o all’estero per lavoro, per studio, per passione, quando saranno più grandi. E potranno anche trovare altrove la loro vera patria. Ma se continuerà questa sistematica disinformazione sulla Calabria, non potremo poi lamentarci se i nostri figli fuggono dai nostri paesi, dalle campagne, dalle cittadine.
La colpa di tutto questo è di noi adulti e non servirà a nulla chiedere l’aiuto dell’Unesco o di chissà chi. Siamo proprio noi, con la nostra inconsapevolezza, che alimentiamo pervicacemente quel complesso psicoanalitico di inferiorità della civiltà contadina del Sud rispetto alla civiltà industriale del Nord che fu denunciato da grandi uomini di cultura come Carlo Levi, Pier Paolo Pasolini, Giuseppe Berto. Lo dico per i critici delle “retoriche identitarie”: non condivido per nulla le celebrazioni sguaiate sulla “Calabria più bella della California”, sulla “culla della Magna Grecia” ed altre amenità come queste. Le nostre “ombre”, come direbbe Carl Gustav Jung (secondo il quale, per altro, il bene e il male non sono mai del tutto separati), ce le ricordano ossessivamente le pagine di cronaca dei giornali e di esse prendiamo atto tutti i giorni. Qui si tratta, invece, di deciderci, una volta per tutte, a proteggere e mettere a reddito le “luci” che il Buon Dio e i nostri avi ci hanno tramandato e che sono proprio i beni culturali ed ambientali. Dissi una volta ad un assessore regionale durante l’ennesimo incontro sui temi delle attività produttive, che in Calabria esiste una sola, grande attività produttiva: il paesaggio, inteso come insieme fluido, dinamico di natura e cultura. Quel po’ di sviluppo sostenibile che permane in Calabria, infatti, si basa quasi sempre su attività vocazionali, legate ai luoghi. E non parlo solo di settori tradizionali come l’agricoltura, la zootecnia, l’agroalimentare, il turismo. Penso anche a tante imprese innovative e creative nate in Calabria, di cui, di tanto in tanto, apprendiamo l’esistenza da giornali e tv nazionali prima ancora di averne avuto contezza noi stessi.
Come ha scritto Salvatore Settis parafrasando il famoso motto di Dostoevskij, “la bellezza salverà il mondo… a patto che il mondo salvi la bellezza”. Se non saremo noi calabresi a conoscere, amare e tutelare la bellezza che ci rimane, nessun’altro verrà realmente in nostro soccorso. È finito il tempo dell’eterna infanzia del Sud: siamo e dobbiamo comportarci da adulti che sanno assumersi delle responsabilità. Le Dolomiti sono state dichiarate “patrimonio mondiale dell’umanità” solo molto tempo dopo che erano divenute “patrimonio locale delle loro comunità”. Ed anzi è proprio questa la precondizione, il presupposto indefettibile perché l’Unesco possa concedere l’ambito e vagheggiato riconoscimento ai nostri gioielli di famiglia.

*Avvocato e scrittore

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