CATANZARO “La Restanza” è il titolo dell’ultimo libro di Vito Teti, antropologo e scrittore, ma è ormai un termine che fa parte del lessico della Calabria. «Restare per cambiare», perché restare non significa stare fermi, ma significa partecipare, perché «la partecipazione attività è l’unico modo per dire la nostra», sostiene Teti, che oggi ha presentato il volume, edito da Einaudi), in un incontro alla Camera di Commercio di Catanzaro nell’ambito delle iniziative legate al progetto Gutenberg.
«Partire e restare – esordisce Teti – sono due motivi strettamente legati. La Calabria, che è stata una terra di grande emigrazione e ha un’identità costruita sull’emigrazione, ha conosciuto questi aspetti in maniera profonda e intensa, perché in un certo senso – come scrivo – chi parte resta e chi rimane parte con la fantasia e il desiderio. C’è questo essere in altri posti delle persone di Calabria che è legato al fenomeno migratorio. Oggi molte cose sono cambiate: è finita la vecchia emigrazione, assistiamo all’immigrazione, conosciamo lo spopolamento dei paesi che sta assumendo dimensioni veramente drammatiche e brutte per il futuro della Calabria. In questa situazione forse chi è rimasto si deve porre il problema di cosa faccio qui, che rapporto stabilisco con i luoghi. Ma non è l’esaltazione dello stare fermi, dell’apatia, dell’immobilismo, invece – specifica l’antropologo e scrittore – è la ricerca di un movimento e di un cambiamento che si deve svolgere anche da fermi. Restare per cambiare, altrimenti non avrebbe senso. Altrimenti assisteremmo a tanti funerali, a tante porte che si chiudono, che dobbiamo osservare con grande rispetto e anche con grande pietà, ma dobbiamo cercare di costruire qualcosa per il futuro. Una visione dinamica, mobile, aperta di questo restare».
Da qui per Teti la necessità, quasi l’obbligo morale, della «partecipazione attiva che – osserva – è l’unico modo per dire la nostra, perché la salvezza della Calabria non verrà da fuori ma verrà da noi. Quindi più acquistiamo cittadinanza più costruiamo una nuova comunità dal basso più riusciremo a incidere nei grandi processi che poi sono processi locali ma anche globali. La pandemia è stata una possibilità ma i numeri sono irrilevanti. Lo smart working non funzionerà se non si ricostruiscono i paesi, le strade, i servizi, i luoghi di socialità, in un paese vuoto non ci sarà smart working che tenga. Quindi – conclude Vito Teti – bisogna creare posti di lavoro, mettere in sicurezza le persone, gli ospedali, la salute, i servizi, altrimenti le persone non ritorneranno». (a. c.)
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