Una giornata difficile e di infiniti contatti scivola verso la crisi alle cinque del pomeriggio, quando il premier Mario Draghi – che al Senato ha reso “comunicazioni fiduciarie” chiedendo alle forze politiche di ricostruire il patto di unità nazionale alla base del suo mandato – pone la fiducia su una risoluzione di Pier Ferdinando Casini dal testo stringato: “Il senato, udite le comunicazioni del presidente del Consiglio dei ministri, le approva”. Il centrodestra governativo – Lega e Forza Italia – non la voterà, esprimendo così ostilità e delusione per i toni duri che il premier ha usato al mattino verso la Lega, che di risoluzione ne presenta una contrapposta: il M5s sia messo fuori dal perimetro della maggioranza con un nuovo governo e un nuovo programma. Invece non è andata così. E l’asse tra Salvini e Berlusconi si è rinsaldato sulla linea dura. Anche i 5 Stelle annunciano in aula che non voteranno la risoluzione Casini. Alla fine il governo Draghi incassa una fiducia inutile al Senato: in realtà non c’è più. Intanto ci sono i primi scossoni: la ministra Maria Stella Gelmini, governista e protagonista di una lite con la collega di partito Licia Ronzulli, lascia Forza Italia. “Non posso stare più in un partito a trazione leghista”, sarebbe stata la motivazione della Gelmini. In ogni caso, si avvicinano lo scioglimento del Parlamento e il voto: un’ipotesi per il ritorno alle urne è quella del 25 settembre o del 2 ottobre. È questo l’epilogo di una giornata drammatica vissuta tra Palazzo Madama, Palazzo Chigi e il Quirinale e della crisi aperta dal M5s. Amaro il commento del segretario del Pd Enrico Letta: “In questo giorno di follia il Parlamento decide di mettersi contro l’Italia. Noi abbiamo messo tutto l’impegno possibile per evitarlo e sostenere il governo Draghi. Gli italiani – ha scritto su twitter Letta – dimostreranno nelle urne di essere più saggi dei loro rappresentanti”. Tutto questo mentre il premier Draghi nelle prossime ore dovrebbe annunciare le dimissioni alla Camera e poi salire al Colle.
I tempi di indizione delle elezioni, di insediamento delle nuove Camere e quindi della nascita di un nuovo governo sono piuttosto lunghi ed anche rigidi, perché scanditi dalla Costituzione. Questo è il motivo per il quale, in attesa delle decisioni di Draghi e quindi di fine anticipata della legislatura, il nuovo esecutivo si insedierebbe in autunno inoltrato, tra fine ottobre e primi novembre nella migliore delle ipotesi, cioè in piena sessione di bilancio. Circostanza che pone il problema della presentazione della Legge di Bilancio alle Camere entro il 15 ottobre. L’articolo 61 della nostra Carta stabilisce che “le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti”. In passato tra il decreto di scioglimento delle Camere da parte del Quirinale e le successive urne sono trascorsi sempre tra i 60 e i 70 giorni. I tempi potrebbero sembrare eccessivamente lunghi, ma gli adempimenti per i partiti sono molteplici, non solo per la campagna elettorale ma anche per la presentazione delle liste che devono essere accompagnate da un notevole numero di firme (tra 1.500 e 2.000 firme in ogni circoscrizione proporzionale per i partiti che non hanno gruppi parlamentari). Se dunque, per ipotesi, le Camere venissero sciolte entro i prossimi giorni, i cittadini potrebbero recarsi ai seggi domenica 25 settembre. E’ anche possibile che per evitare una campagna elettorale totalmente sotto gli ombrelloni, lo scioglimento delle Camere possa avvenire oltre questa settimana, per votare magari domenica 2 ottobre. Sempre l’articolo 61 della Costituzione stabilisce che “la prima riunione delle Camere ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni, quindi si arriverebbe a una data tra il 15 e il 22 ottobre. Una volta eletti i Presidenti di Camera e Senato e formati i gruppi parlamentari, Mattarella aprirebbe le consultazioni, il cui esito dipende dalla chiarezza del risultato elettorale. Nel 2018 si votò il 4 marzo e il governo Conte I giurò l’1 giugno, cioè 90 giorni dopo; nel 2013 dopo le urne del 24 febbraio il governo Letta giurò il 28 aprile, vale a dire 63 giorni dopo; nel 2008, dopo il chiaro successo del centrodestra il 13 aprile, il giuramento del Berlusconi IV arrivò l’8 maggio, quindi dopo 25 giorni dal voto.
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