Lo hanno arrestato mentre pregava in chiesa a Genova nella cattedrale di San Lorenzo. Pasquale Bonavota era tra i latitanti di ‘ndrangheta più pericolosi d’Italia. E questa è già una notizia. «Non sono io il Pasquale che cercate» ha detto il boss, ma chi lo cercava lo inseguiva da 5 anni e non ha avuto nessun dubbio a far scattare le manette. Il metodo delle intercettazioni funziona e anche quella di dare priorità al latitante più pericoloso. Si nascondeva nel quartiere San Teodoro. Niente di spettacolare come nel caso di Matteo Messina Denaro. Documenti falsi, ventimila euro in contanti, decine di cellulari con schede sim straniere e abbonamenti dei mezzi pubblici con cui si spostava. Viveva a Genova da un anno aiutato da “amici” che il clan ha disposizione nelle terre del Nord conquistate dai Bonavota. A Genova vive la moglie, insegnante.
Lui è l’erede del boss Vincenzo, nuovo “capo società” del clan. Già latitante, fu l’unico a sfuggire all’operazione “Rinascita Scott”.
Assolto da ben tre omicidi, non è mai stato condannato per mafia, anche se la prima accusa lo ha raggiunto quando era ancora minorenne. Un altro fratello da latitante era stato arrestato sempre a Genova nel 2008.
Tutte queste notizie, tranne i giornali calabresi e liguri, venerdì sono finite nelle pagine interne con qualche colonnino di taglio basso, schiacciate dall’esito assolutorio del processo Stato-mafia e della condanna definitiva per Cosentino, politico “berluscones” in affari con i Casalesi.
La gerarchie delle news hanno una loro rilevanza per scelta e per audience. La ‘ndrangheta continua ad essere “immersa” tra la spettacolarizzazione della mafia siciliana e le Gomorre campane. Non intendo alzare il dito nei confronti di nessun giornalone, ma devo ricordare che in importanti redazioni all’omicidio di un bambino a Cassano si dedicava una breve «perché della Calabria non importa a nessuno».
La ‘ndrangheta è fenomeno internazionale, una sorta di Spectre del guadagno illecito che opera su tutto il globo terracqueo. Il dibattito pubblico latita, quello politico lasciamo stare (per anni nelle sedi dei partiti nazionali sui voti si sosteneva che «della Calabria si occupano i calabresi») e anche della ‘ndrangheta dobbiamo occuparcene da soli. Più che assegnare voti meglio riflettere su un’amara constatazione.
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Per un boss arrestato a Genova, l’ennesimo mafioso che si “butta pentito” a Cosenza. Leggo sul nostro Corriere della Calabria che in città è apparso lo striscione “Porcaro pentito infame”. Complimenti al collega Fabio Benincasa che ha trovato la notizia. A chi si dedica alle minacce fate striscioni inneggianti al Cosenza che sono più graditi.
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La persona che meglio ha saputo diffondere conoscenza sulla ‘ndrangheta è Nicola Gratteri. Con le sue inchieste, i libri e le conferenze in giro per l’Italia, soprattutto nel Nord che spesso convive con il problema. E infatti raccoglie attestati di riconoscenza. Pensate che il prossimo 15 maggio a Milano e dintorni grazie all’associazione “Su la testa” nel giro di poche ore il magistrato riceverà cittadinanza onorarie a Canegrate, Albairate, Corsico e Vimodrone. Per ottimizzare la trasferta presentazione del suo libro al liceo Bottoni di Milano, al carcere di Opera e al cinema di Seriate. Fosse altro per la complicata logistica di un magistrato che vive sotto scorta voto “otto” all’associazione “Su la testa”. “Dieci” invece per educazione civica.
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La notizia della scorsa settimana sulla buona Calabria da costruire come sana utopia mi è valso il riconoscimento della Tazzina della legalità personalizzata assegnatami da Sergio Gaglianese, vice presidente di Confassociazioni. Ringrazio e spero di essere sempre all’altezza del riconoscimento.
La Tazzina della legalità è nata del 2022 dopo un’intimidazione al Caffè Guglielmo dimostrando di essere una rivolta civile contro le ombre della ‘ndrangheta calabrese. Presto nascerà un libro e segnaliamo quegli uomini e quelle donne come Antonino De Masi, Maria Antonietta Rositani, Vincenzo Chindamo, Francesco Cascasi, Tiberio Bentivoglio, Gaetano Saffiotti, Pino Masciari, Rocco Mangiardi e tanti altri che non hanno perso l’ardore di invertire la tendenza del vivere civile in Calabria. Voto “dieci”.
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Nei giorni scorsi il consigliere regionale Antonio Maria Lo Schiavo in seduta pubblica legge un’interrogazione alla Giunta sul problema di allocazione delle case di comunità a Nocera Terinese. Il presidente dei lavori affida la parola all’assessore competente, Emma Staine della Lega. La quale, invece di fornire una risposta, ha letto per circa 5 minuti il testo del consigliere prima ascoltato. E pensare che quando l’avvocato subentrò a Tilde Minasi, Salvini aveva detto: «Sarà all’altezza della situazione». Almeno si leggesse le carte che spettano al suo compito. Voto “due” per scarsa applicazione.
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Di Sgarbi si parla sempre. Di qualche giorno fa un video di una sua visita istituzionale alla mostra dell’Ipssoa di Praia a Mare in cui Vittorio il furioso era stato chiamato ad essere la presenza di richiamo. Sul suo profilo Tik Tok Sgarbi ha pubblicato la reprimenda ad una incauta professoressa che aveva mostrato il cartellone introduttivo dell’esposizione: «Questa è una schifezza che fa cagare». La prof disperata cerca di difendere l’uso del qr code predisposto, e Sgarbi prosegue: «Il mondo vede questa cagata e non viene più in Calabria». Ma non finisce qua. All’apparire dell’aggettivo Gentile scritto in maiuscolo su un cartellone gli insulti triplicano e attorno si ride come l’infame Franti del libro “Cuore”. Certo Sgarbi non è stato gentile e si prende “sei” per la spudorata schiettezza. Ai professori che invitano il sottosegretario Sgarbi per avere attenzione, forse è meglio che ci pensino meglio la prossima volta.
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Nuovo successo della Calabria Film Commission per un prodotto sostenuto. Il film “Io e mio fratello” ambientato ad Altomonte con immagini molto belle dei panorami circostanti è stato il più visto in Italia della piattaforma Prime che lo ha diffuso. Commedia di consumo leggera e moderna il film ha preso le rampogne di chi vede cinema impegnato (amici servono anche i prodotti di largo consumo), e le lamentele di chi non comprende che nella finzione l’Arco Magno può anche essere allocato vicino ad Altomonte.
Voto “otto” ai produttori Saccà, padre e figlio, che con la loro Pepito non dimenticano le loro origini calabresi. Stesso voto al location manager Pasquale Arnone per aver scelto ottimi luoghi e posti che hanno molto valorizzato il film.
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A “Viva Rai 2” di Fiorello, simpatico siparietto tra il giornalista Tommaso Labate e l’intrattenitore Nicola Savino al suono di inflessioni dialettali calabresi differenti. Labate è di Gioiosa Jonica, Calabria Ultra, Savino ha la mamma della cosentina Calabria Citra (stop ai detrattori che dicono che Nicola non è calabrese perché nativo di Lucca) e hanno dispensato buona ironia parlante: «Io sono nordico, noi di Cosenza abbiamo un altro modo di parlare» dice Savino. Risponde Tommaso: «Cosenza è la Germania della Calabria». A quel punto Fiorello, mutua il suo siciliano e parlando in calabrese, chiede a Savino: «Pecchì vui comu parrati?». Savino di rimando: «E’ tutto un altro modo di parlare, più morbido, avimu a L, Lupi di Cosenza». Labate non perde battuta: «Nui mbeci avimu nu modu più duru. Quello che usiamo noi è una specie di diminuitivo: un tantino, un pochino».
Per la cronaca Tommaso Labate per una casualità è nato a Cosenza. Un bel “dieci” ai nostri calabresi illustri che con simpatia ci invitano a ricordare le compite ricerche del professor Gherard Rholfs, l’archeologo delle parole.
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A Cosenza la pasta più economica d’Italia informa una statistica, invece a Mangone è stato inaugurato un pastificio gestito da tre migranti del Senegal. Una gran bella storia. Sadia, Madi e Adana, erano arrivati cinque anni fa a Corigliano minorenni. Hanno costituito una cooperativa e tra ostacoli e molta solidarietà anche loro potranno forgiare buona pasta che si speri resti la più economia d’Italia. Voto “dieci” ai tre senegalesi e tutti coloro che hanno permesso di realizzare un pastificio pieno di speranze. (redazione@corrierecal.it)
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