VIBO VALENTIA Una struttura ricettiva considerata storicamente «della cosca Mancuso», luogo sicuro e protetto nel quale esponenti criminali «hanno soggiornato nei periodi di latitanza e hanno svolto in tutta tranquillità anche veri e propri summit mafiosi». Del villaggio “Sayonara” di Nicotera – al centro dell’inchiesta “Imperium” della Dda di Catanzaro – ne avevamo scritto qualche giorno fa. Il collega Pablo Petrasso spiegava come il villaggio di Nicotera a pochi metri dal mare rivestisse «un particolare interesse sin dagli anni ’90, poiché considerato storicamente come la struttura ricettiva della cosca Mancuso, luogo sicuro e protetto nel quale esponenti criminali hanno soggiornato nei periodi di latitanza e hanno svolto in tutta tranquillità anche veri e propri summit mafiosi». Ed è in particolare “Scarpuni” Mancuso ad essere documentato ed aggiornato sulla situazione economico-contabile del villaggio, oltre che fortemente interessato all’evolversi della situazione finanziaria della società.
Il forte legame tra la famiglia Mancuso di Limbadi e la struttura, così come scrivono i pm nel decreto di fermo, è avvalorato anche da una perquisizione domiciliare avvenuta oltre 10 anni fa. È, infatti, il 28 marzo 2013 quando il personale della Squadra mobile di Vibo Valentia e di Catanzaro fa irruzione nel domicilio della frazione Marina di Nicotera dopo l’arresto del boss di ‘ndrangheta Pantaleone “Scarpuni” Mancuso (cl. ’61), avvenuto il 7 marzo, estese anche ad un immobile in Corso Umberto I. In quella circostanza fu ritrovata una copiosa documentazione di natura extra contabile tra cui gran parte riguardante proprio la gestione del Villaggio Sayonara le cui risultanze sono state acquisite agli atti. Un foglio A4 dattiloscritto suddiviso in tre distinte colonne nelle quali separatamente e per ogni singola riga, erano stati annotati: nominativi di persone fisiche e/o giuridiche, per un totale di n. 38; – il relativo importo di riferimento, per un totale complessivo di 669.600 euro, erroneamente indicato per 711.100 euro e, infine, note esplicative per ciascun nominativo.
Per gli inquirenti sembrerebbe trattarsi di una sorta di contabilità personale in cui risultano annotate sia le somme di denaro concesse in prestito (crediti) ai vari imprenditori residenti nel territorio calabrese e sia le somme da erogare (debiti) a favore di enti e istituzioni. Come nel caso della prima riga: “Curia Mileto – 10.500,00 – fitto terreno”. Un dato – scrivono i pm – solo in apparenza poco significativo, perché su un terreno nel Comune di Joppolo, nel Vibonese, risultato di proprietà della Diocesi di Mileto – Nicotera – Tropea, insiste la struttura ricettiva “Hotel Cliffs” che corrisponde alla sede secondaria della “ESSE GROUP S.r.l.”, società partecipata, per il 60% del capitale sociale, dalla fallita SAYONARA S.r.l., ove veniva svolta attività di organizzazione e gestione di congressi. La seconda riga degna di interesse investigativo riporta i seguenti dati: “Zamparelli – 5.000,00 euro – prestito”. Per i pm il riferimento è all’ex assessore con delega al turismo esercizi pubblici e commercio del Comune di Nicotera fino al 1° aprile del 2010. A suo carico sono emersi, così come riportato nelle carte dell’inchiesta, «numerosi controlli in compagnia di alcuni soggetti pregiudicati della zona di Nicotera facenti parte del clan Mancuso. Come l’incontro con Assunto Megna a marzo 2009 e quello con “Scarpuni” Mancuso sul lungomare di Nicotera risalente al giugno dello stesso anno».
Nelle successive righe del documento ritrovato dagli agenti vengono indicati altri dati significativi: Mutuo Mary 28.000,00 – prestito Mutuo Alessia 30.000,00 – prestito Mutuo Ciccillo 40.000,00 – prestito Mutuo Tonuccio 38.000,00 – prestito. Gli inquirenti sono sicuri di essere risaliti ad ognuno di loro. “Ciccillo”, infatti, sarebbe Francesco Polito (cl. ’44) socio fondatore nonché Presidente del CDA della fallita “Sayonara S.r.l.”. E poi c’è “Tonuccio” ovvero Antonio Ranieli (deceduto del 2019) anche lui fondatore della fallita “Sayonara S.r.l.”, Albanese Maria, vedova di Ranieli e “Alessia”, la figlia Alexia Ranieli. C’è, poi, l’ultima riga con un dato particolarmente significativo per gli inquirenti: “Anticipo socio – 800.000,00 – per come messo in bilancio Sayonara S.r.l.”. Ora, come è emerso dall’inchiesta, all’ultimo bilancio disponibile, quello del 2008, effettivamente la “Sayonara S.r.l.” aveva un conto debiti verso i soci per 766.966 euro, somma che resterà immutata fino al fallimento dell’agosto 2009. Un debito enorme che gli ex soci Ranieli e Polito e Assunto Megna conoscevano bene, e ne discutevano nella tarda mattinata del 26 settembre 2017, in una conversazione che gli inquirenti riescono ad intercettare. «(…) che c’è qua? Socio?» chiede Megna a Ranieli «800mila euro! Amico…». «Amico marina» risponde Ranieli «lo sai chi è?» «Scarpuni!». E Megna: «Ahhh… amici, amici…». Secondo gli inquirenti, dunque, Megna avrebbe visionato la documentazione della “Sayonara S.r.l.”, venendo a conoscenza di determinati debiti contratti dalla società. Toccherà però a Ragnali spiegargli che il credito “amico della marina” altri non è che Pantaleone Mancuso.
È alla quindicesima riga del manoscritto che gli inquirenti trovano un altro dato interessante: “Peppe Cittanova – 398.000,00”. Gli investigatori ritengono che si tratti di Giuseppe Fonti (cl. ’44) proprio di Cittanova, attuale proprietario del villaggio Sayonara di Nicotera, e indicato al telefono quasi sempre come “Peppe”. «Assunto, senti… io mò voglio parlare con te, guardandoci negli occhi! Queste sono cose che secondo te potevano succedere? A me mi disse Luni, dice “vedi che se ti combinano qualcosa dillo a me che vado a cavargli gli occhi!”». Per gli inquirenti il boss Pantaleone Mancuso nutriva un forte interesse nella gestione del villaggio Sayonara. E Antonio Ranieli, in una conversazione avuta con Assunto Megna nel febbraio 2018, lamentandosi dei torti subiti da Giuseppe Fonti e il catanese Francesco Rapisarda e al compenso non ricevuto, lo dice chiaramente: sono episodi che non si sarebbero mai verificati se ci fosse stato ancora il boss Luni Mancuso e la sua “protezione” e il rispetto garantiti negli anni. (g.curcio@corrierecal.it)
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