REGGIO CALABRIA Due collaboratori di giustizia, Antonino Russo e Marcello Fondacaro, parlano dell’«appartenenza di don Pino Strangio a una loggia massonica regolare». Questione controversa, oggetto di opposte testimonianze nel corso del processo Gotha. I giudici del Tribunale di Reggio Calabria, nelle motivazioni della sentenza, propongono le dichiarazioni dei pentiti per tracciare una linea di continuità da Strangio e don Stilo, altro controverso religioso della Locride. Russo introduce l’argomento raccontando il matrimonio di Emilio Sorridente, «appartenente alla cosca Piromalli». Una festa a cui avrebbe partecipato «la créme della ‘Ndrangheta, cominciando dai De Stefano, i Pesce, i Bellocco. Cioè là era un matrimonio di riunioni, tra cui, la cosa che mi ha più stupito è che c’ho visto anche diciamo un alto prelato, c’era mi pare anche don Luigi Stilo, non so se si chiamava Luigi (non si chiamava Luigi ma Giovanni, ndr), comunque c’era don Stilo, che era uno dei preti diciamo che allora veniva cosiddetto un prete malandrino».
«Don Stilo – sottolineano i giudici – veniva da Africo, veniva definito da Russo come un rappresentante di tutte le famiglie della ‘Ndrangheta, aveva il ruolo di paciere delle famiglie della ‘Ndrangheta ionica e reggina (…). Luigi Sorridente gli aveva detto che don Stilo era stato un prete che aveva aggiustato parecchi processi alla ‘Ndrangheta sia della ionica che della tirrenica, ed era molto influente con la magistratura». Russo non sa dire «se alla morte di don Stilo vi fosse stata una successione», la scelta di un altro prelato che ricoprisse lo stesso ruolo, ma avrebbe «incontrato don Strangio, il prete della Madonna della Montagna di Polsi a casa di Giovanni Copelli», cognato del patriarca Giuseppe Piromalli. Capelli avrebbe definito don Strangio usando le stesse parole utilizzate per don Stilo: «anche per lui era “un prete malandrino”, non perché fosse stato affiliato come azionista della ‘Ndrangheta, ma per i comportamenti che aveva nei confronti degli ‘ndranghetisti».
Fondacaro, medico vicino alla cosca Piromalli, ricostruisce il tentativo di costruire una loggia irregolare da parte di Emilio Sorridenti nei primi anni 90. Fa un lungo elenco di nomi – colletti bianchi, politici, militari – e, in un secondo momento, cita anche Paolo Romeo tra gli appartenenti al “circolo” riservato. Secondo il pentito, da poco riammesso nel programma di protezione, anche don Stilo avrebbe fatto parte della loggia; «lo aveva conosciuto a Roma e lo incontrava anche in Calabria, per essere stato condotto da lui ad Africo da Luigi Emilio Sorridenti, in quanto don Stilo voleva chiedergli alcune informazioni poiché voleva aprire una struttura per lungodegenti nella zona di Africo». Fondacaro è più esplicito rispetto all’eredità del prete di Africo. «So che a questo – spiega – si sostituiva anche un altro sacerdote della zona sempre dei Polsi, là, di Africo, di quella zona lì, di cui non ricordo il cognome in questo momento». È il pm a completare il concetta: «Sì, glielo ricordo sempre io. Lei lo disse al verbale sempre questo del 25 novembre 2016, lei disse: “Don Stilo lasciò la sua eredità a don Strangio di San Luca”». Il collaboratore conferma: «Don Strangio, sì, don Strangio».
C’è un filo, per i giudici, che unisce direttamente Paolo Romeo e l’ex parroco del santuario di Polsi. Una serie di «comuni relazioni, tutte tracciate attraverso le associazioni facenti capo a Strangio, nell’elenco dei cui soci si rileva la presenza di soggetti molto vicini a Romeo». Uno dei nodi attorno al quale si dipanano questi rapporti sarebbe l’Istituto universitario linguistico EurOrientale, presieduto dal religioso. Nell’associazione compare anche Antonio Marra, altro condannato illustre del processo, «nominato da don Pino Strangio segretario» dello Iule onlus (è la sigla dell’Istituto). Dunque «i tre imputati Marra, Romeo e don Pino Strangio» risultavano «tra di loro, e con altri soggetti coinvolti in queste forme di associazionismo, tutti coinvolti in rapporti apparentemente riconducibili all’attivismo associativo, ma in realtà intrisi di interessi ben più cogenti, e anche occulti ai più». Associazioni che andavano al di là degli scopi statutari, sconfinando in una «fitta rete di interscambi di favori, per cui il fine principale delle associazioni era assimilabile ad autentiche lobby». Sfruttate, a esempio, da un «professionista eminente nel contesto cittadino» per risolvere un impiccio legato a una pratica edilizia, o per avvicinare l’amministrazione comunale e “spingere” lavori nell’interesse di alcuni associati. Nell’istituto figurava, peraltro, un alto dirigente del Comune di Reggio Calabria, «che era ben a conoscenza del vero ruolo di Romeo nell’ambito della massoneria segreta e della ‘Ndrangheta, come si evince dai commenti sulle dichiarazioni rese dal collaboratore Antonino Fiume, nonché partecipe alle strategie poste in essere dal Romeo per assicurare l’elezione a sindaco di Giuseppe Scopelliti nel 2002». Un sistema ben oliato che trasforma rapporti personali in consenso all’ombra della ‘Ndrangheta. E don Strangio sarebbe uno dei terminali del meccanismo: per i giudici, il religioso «apparteneva alla massoneria segreta» e avrebbe avuto ruoli di rappresentanza «nella costituzione di enti collettori di presenze tutte censite nell’entourage di Paolo Romeo». Associazioni il cui scopo era «creare centri di potere da attivare in occasione del perseguimento di interessi apparentemente leciti, ma in realtà strumentalizzati dalla criminalità organizzata per il raggiungimento di utilità a favore particolare proprio». Un sistema nel quale, ovviamente, aveva un ruolo centrale anche la scelta dei candidati alle Regionali. Per quelle del 2010 anche il prete di Polsi avrebbe giocato un ruolo non secondario. (2. continua)
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