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l’inchiesta

L’impero delle pulizie al servizio della ‘Ndrangheta

Pirrello dalla (lieve) condanna in “Basso Profilo” alle accuse di “Atto Quarto”. Il boss assunto in Puliservice e i lavori in Regione, Comune, Procura e Corte d’Appello

Pubblicato il: 12/10/2023 – 14:54
di Pablo Petrasso
L’impero delle pulizie al servizio della ‘Ndrangheta

REGGIO CALABRIA Neanche il tempo di incassare lo “sconto” in Corte d’Appello a Catanzaro nel processo “Basso Profilo” (è stato condannato a un anno con pena sospesa dopo i quattro rimediati in primo grado), che Antonino Pirrello è di nuovo finito nei guai. Questa volta a Reggio Calabria: la Dda guidata da Giovanni Bombardieri lo considera uno degli imprenditori di riferimento della cosca Libri

Antonino Pirrello

Al centro delle indagini antimafia è finito un piccolo impero con appalti in tutta la Calabria: la Puliservice srl, ditta di cui Pirrello detiene il 70% delle quote e che – secondo l’accusa – sarebbe stata usata anche in ragione dei presunti rapporti con il clan. È un’informativa del 20 giugno 2022 a evidenziare che tra i dipendenti della ditta figuravano («fino al momento del suo arresto») il presunto boss Edoardo Mangiola, un uomo ritenuto «vicinissimo alla cosca Libri», come emerso nell’inchiesta “Theorema”, e una donna (pure lei arrestata in “Theorema”) figlia di un membro del clan condannato all’ergastolo

L’intercettazione fraintesa: Pirrello diventa “Giovanni”

Pirrello compare per la prima volta nei brogliacci dell’inchiesta “Malefix” nel corso di una conversazione tra il boss Totò Libri e il suo luogotenente Mangiola. I due parlano di un «non identificato imprenditore al quale avevano avanzato richieste di somme di denaro». Sulle prime l’intercettazione viene fraintesa e l’imprenditore viene indicato come “Giovanni”. È il riascolto del dialogo che permette alla polizia giudiziaria di aggiustare il tiro e di individuare in Pirello l’uomo misterioso. Diventa chiara anche la richiesta del clan: dal boss Filippo Chirico sarebbe arrivata una “imbasciata” dal carcere, «necessitava di 5mila euro da corrispondere ai suoi legali» per un ricorso in Cassazione. L’imprenditore – secondo i due “compari” che commentano i fatti – non è proprio entusiasta ma si organizza per assicurare una forma di sostegno economico. È soltanto uno dei segni della vicinanza tra il titolare della Puliservice srl.

La protezione “discreta” del clan. «Se parlano di te interveniamo»

Secondo il gip «la cosca garantiva all’imprenditore una protezione “totale” e discreta, bloccando ogni tentativo di avvicinamento da parte di altri gruppi malavitosi che potessero intaccare la sua attività». «Gli ho detto – evidenzia Mangiola – io fino a ora, se mandano imbasciate, se mandano imbasciate, qualcuno parla di te, io e Totò interveniamo e blocchiamo a tutti e nessuno si deve permettere di parlare di te… ci sono tante cose che succedono e noi non veniamo neanche a dirtelo». La ricostruzione, per l’accusa, non consente «di inquadrare Pirrello come “vittima” delle pretese mafiose di carattere economico. Al contrario è evidente la sinallagmaticità dei rapporti con la ‘ndrangheta, dai quali l’imprenditore traeva vantaggi di carattere economico-imprenditoriale, garantendone altrettanti alla cosca con cui entrava in contatto stabilmente». 

«Tra noi e Pirrello è una questione di lavoro»

È ancora Mangiola a spiegare alla propria compagna che quella con Pirrello «è una questione di lavoro. Si tratta di lavoro. È loro che dicono… apposta dicono che un colluso, perché lui è in affari con noi, hai capito che cosa vogliono dire loro? Però in un senso loro si buttano la zappa sui piedi perché se uno che è in affari con noi… tipo “vieni che ti faccio prendere questo lavoro… vieni” che oggi è considerato un reato questo lo sai no? Però non è un reato. Questo è un sistema che c’è in tutta Italia, solo che da noi è considerato un reato».
Il boss – che avrebbe definito l’imprenditore addirittura «come un fratello» – si spende per non esporre Pirrello a rischi giudiziari, «“sacrificandosi” nell’avvalersi della facoltà di non rispondere» per non renderlo individuabile da parte degli inquirenti. Da parte sua, il proprietario della Puliservice si impegna «ad assumere anche il figlio del boss detenuto». È ancora una volta spia del rapporto con il clan: «Mangiola – appunta il gip – garantiva l’impunità di Pirrello, garantendogli di non rivelare agli inquirenti la sua identità» e in cambio avrebbe chiesto «favori di vario genere per i suoi familiari (si pensi anche alla ristruttutazione della casa in Lombardia)». Da parte sua, l’imprenditore si preoccupa di avvisare il vertice della cosca Libri quando gli inquirenti lo convocano per rispondere ad alcune domande su Mangiola.

La preoccupazione per le aziende. «Non è che gli tolgono gli appalti?»

L’arresto di Pirrello nell’inchiesta “Basso Profilo”, d’altra parte, preoccupa ancora Mangiola che si dice pronto ad attivare «le sue “conoscenze”» e manifesta «una concreta preoccupazione circa la sorte delle sue aziende (…) sintomatico del fatto che l’aggiudcazione degli appalti da parte delle stesse fosse una diretta conseguenza dell’intervento della consorteria da lui rappresentata». «No, sai qual è il problema – dice il presunto boss – che non vorrei che gli togliessero gli appalti, capito, per l’antimafia, è questo il problema. Il problema più grosso è questo, capito? E certo gli possono scattare… se gli scatta la revoca dell’antimafia».

Gli affari di Puliservice. «Nel 2020 avevamo anche l’appalto in Procura»

La preoccupazione è fondata, se non altro per la mole di affari della Puliservice. È lo stesso Pirrello a raccontarlo agli inquirenti in un interrogatorio condotto dal pm Stefano Musolino. Il magistrato lo incalza proprio sul volume di affari: «Quali appalti ha a Reggio Calabria? Significativi, non il piccolo condominio». «Diciamo che la società nel 2020 aveva tutti gli appalti in Calabria, anche qua all’interno degli uffici della Procura, di manutenzione». E poi gli uffici della Regione Calabria in via Modena e via Tripepi; la Scuola Allievi carabinieri di Reggio Calabria; gli uffici di Inps, Inail, Equitalia, Tar; la sede Alitalia; la manutenzione degli impianti idrici ed elettrici degli uffici giudiziari della Corte d’Appello di Reggio Calabria e ancora facchinaggio e sanificazione della Questura di Reggio; l’Università Mediterranea; il ministero del Beni culturali; il Museo archeologico; la Commissione tributaria provinciale e regionale; gli uffici della Città metropolitana e del Comune di Reggio Calabria (palazzo Cedir). Tasselli di un impero economico che la Dda reggina considera costruito su fondamenta oscure, quelle di un patto con la ‘ndrangheta. (p.petrasso@corrierecal.it)

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