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L’INTERVISTA

Perugini: «La città unica? Mi piacerebbe il nome CoReCa, come se portassimo il mare a Cosenza»

L’ex sindaco sui tormenti del Pd bruzio: «Su Pecoraro non è pervenuto alcun ricorso, si è trattato di veline anonime»

Pubblicato il: 02/02/2024 – 14:00
di Eugenio Furia
Perugini: «La città unica? Mi piacerebbe il nome CoReCa, come se portassimo il mare a Cosenza»

COSENZA «Io il nome ce l’ho: CoReCa. Sarebbe come portare il mare a Cosenza…». Salvatore Perugini scherza – ma non troppo, forse – e rilancia sul nome del comune unico, dopo le tre proposte partorite dalla Commissione regionale. Da ex sindaco della città, con un passato ai vertici regionali e nazionali di Anci e un presente di “saggio” del Pd cosentino nel ruolo di presidente della Commissione vigilanza, ha idee originali sia sulla fusione («Mi pare che in molti strumentalizzino in chiave soltanto politica») che sul partito («Litigiosi ma almeno discutiamo al nostro interno») o sul nuovo ospedale («Come si fa a parlare di città unica ma non volerlo a Rende?»).
«Ma sempre più spesso – dice inforcando gli immancabili occhialini rotondi, dal suo studio nella zona di cerniera tra la città vecchia e quella nuova – non mi ritrovo nei dibattiti a cui assisto, anche a livello nazionale eh…».

E allora restiamo tra Crati e Busento, anzi spingiamoci fino al Campagnano e oltre: il dibattito dei dibattiti, adesso, pare sia questo.
«Mi piace partire da alcuni fatti e date. Nel 2006, nel mio programma elettorale di candidato sindaco, parlavo già di città unica e sulla mia proposta di referendum consultivo tra i cittadini non registrai contrarietà; poi non se ne fece nulla. Oggi come allora penso che fosse un’entità già compiuta dalla geografia e dai cittadini nelle loro scelte di vita e di residenza. È nei fatti. Io non dico “vado a prendere un caffè al bar San Francesco” o “al bar Impero”: dico semplicemente “andiamoci a prendere un caffè al bar”. Quando vado a trovare mio fratello che da trent’anni vive a Castrolibero non penso che sto andando in un altro paese… E dico anche che i trentamila cosentini che vivono a Rende si sentono cosentini, la stessa cosa accade a Castrolibero».

È un fatto però che i cosentini stanno abbandonando il capoluogo per l’hinterland. È un processo che potrà un giorno fermarsi o magari invertirsi?
«Io penso che dietro la polverizzazione della popolazione cosentina ci sia un fenomeno che comunque resta: anche chi ha lasciato la città per trasferirsi a Rende o a Castrolibero vede Cosenza come il centro della vita sociale e istituzionale, il luogo dei servizi. Così come l’Unical, pur essendo in territorio rendese, è un fiore all’occhiello e un vanto non solo per i rendesi. Non solo: nei fatti risponde a chi pensa che un eventuale Comune unico sposti l’asse urbanistico verso nord: cosa dire a chi mezzo secolo fa pensò di collocare l’ateneo ad Arcavacata? Dico questo per dire che ricondurre tutto ad unità – naturalmente sempre in stretta relazione con gli uomini che andranno a gestire questo processo – significherà ottimizzare costi e servizi. Sbaglia chi, anche nel mio partito, vede nella proposta della città unica un modo per depotenziare l’attuale amministrazione di centrosinistra guidata da Franz Caruso, è un processo alle intenzioni: a che serve che il Pd in Regione faccia l’Aventino anziché lavorare sugli emendamenti? Stiamo parlando di progetti di lungo termine per i quali serve una visione un po’ meno limitata. Faccio un altro esempio: durante la mia esperienza da sindaco, con una programmazione Ue che teneva conto già di “aree urbane” individuate dalla Regione, con il mio collega rendese Umberto Bernaudo abbiamo approvato un Piano strategico comune, in sedute congiunte ma elaborato insieme. Ricordo anche che si parlava di un Piano della mobilità di cui ancora non c’è traccia…».

A quel tempo si faceva anche un gran parlare di Unione dei Comuni.
«Erano uno strumento per ottimizzare la gestione dei rifiuti, ad esempio. Ricordo che da presidente regionale e vicepresidente nazionale di Anci (l’associazione che riunisce i Comuni italiani, ndr) riunii a Lamezia Terme tutti i sindaci delle aree urbane individuate dalla Regione, cui aggiunsi anche Corigliano e Rossano, oggi fuse peraltro nel comune unico. Sottoscrivemmo un’intesa il cui senso, trasmesso alla Regione, era: noi sindaci ci siamo e vogliamo programmare insieme per uno sviluppo complessivo della Calabria e una progettazione strategica. Chiamateci».

Come andò a finire?
«Anche in quell’occasione, nessun esito».

Lei sta riportando tappe e azioni concrete di un dibattito lungo quasi 20 anni ma in una recente riunione di circolo del Pd più d’uno ha ricordato che la città dei Casali era già un sogno di Giacomo Mancini a inizio anni 90, con una strategia di “area urbana” basata su alcuni pilastri come i trasporti: non le pare che adesso si giochi soltanto a chi vuole annettere più campanili?
«Vedo gente ma anche associazioni (leggi la notizia della raccolta firme) che intervengono senza avere idea di come funzionino le istituzioni. “Coinvolgiamo anche Montalto Uffugo, e perché non anche il Savuto?”. Come se il centro storico di Cosenza può diventare centrale grazie a Rogliano».

Il centro storico è un elemento che forse si sta valutando poco in ottica città unica, non crede?
«Io per centro storico intendo centro nevralgico della città, con servizi e sedi politico-istituzionali. Non siamo Urbino o Perugia. Il Cis è una misura funzionale ma credo che sia una chimera pensare che la città vecchia si ripopoli, senza servizi. La città unica invece migliorerebbe gli assetti istituzionali e amministrativi: su tutto, penso a un unico piano regolatore armonizzato e all’impatto che potrebbe avere se confrontato con tre piani differenti».

Qual è la sua posizione sul nuovo ospedale?
«Non vorrei ripetermi ma torno indietro al 2006 e a uno studio di fattibilità sull’opzione Vagliolise, con l’allora dg dell’Azienda ospedaliera Cesare Pelaia: oggi più di allora penso che si debba pensare al rapporto con l’università, come accade al Gemelli e all’Umberto I ma anche a Catanzaro con Germaneto. Il rettore Leone è stato un gigante a concludere questa operazione di medicina all’Unical. Detto ciò, non si può essere per la città unica ma volere il nuovo ospedale a Cosenza per una questione di campanile».

Una domanda sulle tribolazioni del Pd non può mancare…
«In uno scenario in cui i partiti hanno abdicato alla loro funzione e con un astensionismo ai massimi livelli, il Pd almeno discute come dimostra la riunione di circolo di cui si parlava prima. Ecco, in quella occasione la relazione della segretaria Rosi Caligiuri entrava nel merito delle questioni – città unica e nuovo ospedale in primis – ma poi la discussione è deragliata sui dissidenti».

Sulla decisione di Graziadio, Tinto e Trecroci qual è la sua posizione?
«Che non possiamo essere bipolari: o rispettiamo le regole di un partito organizzato o no. Non si può creare un nuovo gruppo in Consiglio per chiedere un assessore, dopo che si viene eletti nel Pd…».

Che fine ha fatto la presunta sfiducia a Pecoraro?
«Posso dirle che la commissione di garanzia che presiedo ha espulso senza appello 11 iscritti, dopo altrettanti ricorsi dei circoli. Su Pecoraro non è pervenuto alcun ricorso, si è trattato di veline anonime».

Lei ha citato Pecoraro e Caligiuri. Se guardiamo lo scenario attuale del Pd vediamo una generazione di trenta-quarantenni con formazione solida e un cursus honorum che inizia a sedimentarsi, basti pensare a Francesco Alimena o a Maria Pia Funaro, al netto dello strappo col partito dopo il suo “dimissionamento”. Cosa serve ai partiti per rinnovarsi davvero?
«Partiamo da un presupposto: i partiti hanno abdicato al loro ruolo formativo, vengo da una generazione in cui Azione cattolica e Fuci creavano la classe dirigente della Dc ma anche del paese. Oggi assistiamo all’assenza dei corpi intermedi, dall’associazionismo ai sindacati – a proposito: qualcuno chieda a Landini perché gli iscritti alla Cgil votano Lega o Fratelli d’Italia – e noto uno sgretolamento sociale, non solo politico. Non c’è più chi intercetta i bisogni dei singoli e li trasforma in questioni generali da porre all’attenzione della politica per cercare di risolverli. Vengo alla sua domanda. Anni fa rilasciai alla Gazzetta del Sud un’intervista in cui invitavo i sessantenni a farsi se non da parte, almeno di lato facendo un passo per accompagnare i più giovani, ricordo che ricevetti una telefonata di Sandro Principe (ride)… Posso dirle che oggi nelle riunioni che faccio con chi è più giovane di me, ad esempio in Commissione di garanzia, cerco di trasferire e restituire quello che ho vissuto in termini di esperienza umana prima che politica».

E la qualità del Consiglio comunale?
«C’entra anche molto con tutto il dibattito sulla città unica».

Perché?
«Il ceto medio alto è quello che più ha lasciato Cosenza negli ultimi anni, preferendo l’hinterland. Sappiamo che il voto lo decidono i tre grandi quartieri popolari di Cosenza: via Popilia, via degli Stadi e centro storico. Non esiste il voto di opinione e chi rappresenterebbe un voto di qualità non si candida, se poi aggiungiamo l’astensionismo che spesso riguarda il centrosinistra il gioco è fatto».

E cosa c’entra la città unica?
«Con la città unica la platea si allargherebbe e avremmo una migliore rappresentanza politica e istituzionale».

C’è qualcosa della sua esperienza da amministratore che rivendica, ad anni di distanza?
«Fu un passaggio non indolore ma rivendico di essere stato l’unico sindaco della storia di Cosenza ad aver presieduto il Consorzio Vallecrati: trovavo assurdo che i due terzi delle risorse provenissero da Cosenza e Rende, e in parte da Castrolibero, ma poi noi politicamente contassimo quanto gli altri 39 comuni perché uno valeva uno. Era il motivo per cui Mancini non pagava… Fatto sta che proposi anche a Orlandino Greco, allora sindaco di Castrolibero, di assumere la presidenza del Consorzio».

A proposito di sindaci, un giudizio su Franz Caruso.
«Un giudizio molto positivo. Lavora in una situazione molto complicata che sintetizzo anche in questo caso facendo ricorso alla mia esperienza: io appena insediatomi trovai 1.150 dipendenti, tra cui 42 dirigenti – la Fiat ne aveva di meno – di settore, che oggi sono passati a sei o sette a fronte di meno di 200 dipendenti. I vigili urbani si sono dimezzati, passando dai 198 di allora a meno di 90 oggi, la metà dei quali inabile al servizio di strada. Bene l’annuncio delle nuove 134 assunzioni al Comune di Cosenza e la stagione dei concorsi che pare si sia avviata nel Paese, ma purtroppo sul turn over in enti locali e pubblica amministrazione siamo fermi alla legge 285/79. Certo io amministrai negli anni del dopo crisi 2008, dei tagli trasferimenti agli enti locali…».

Chiudiamo con il decennio di Mario Occhiuto e il dissesto?
«Anche in questo caso, come a proposito della città unica, attenzione a non usare la questione politicamente, strumentalizzandola proprio come nel caso della vicenda da cui siamo partiti».

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