COSENZA Quasi quattro ore di requisitoria, per ricostruire – nel dettaglio – quanto accaduto nell’aprile del 2022, quando «due sicari» hanno ucciso Maurizio Scorza, 57enne di Cassano, e sua moglie, la 38enne tunisina Hanene Hedhli. Unico imputato nel processo celebrato dinanzi la Corte d’Assise di Cosenza è l’allevatore Francesco Adduci di 56 anni, per il quale il pm della Dda di Catanzaro – Alessandro Riello – ha chiesto la pena di 24 anni di reclusione. L’imputato è difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Giancarlo Greco. Il pubblico ministero, in aula, ha ripercorso tutte le tappe del duplice agguato mortale, soffermandosi sugli elementi cardine dell’accusa. Partendo da come Adduci avrebbe tratto in inganno Maurizio Scorza, all’interno del proprio podere a Castrovillari, dove ad attenderlo c’erano due sicari. Adduci avrebbe partecipato al proposito criminoso, dice in aula Riello, «poi concluso da soggetti ancora ignoti ma appartenenti alla ‘ndrangheta che sta mettendo a ferro e fuoco la Sibaritide. Quella stessa ‘ndrangheta che pensava di compiere l’ennesimo il delitto perfetto, ma non è andata così». Secondo il pm, «Adduci conosce i volti e i nomi di coloro che hanno compiuto il duplice omicidio».
I corpi di Scorza e della compagna, raggiunti da 14 colpi di arma da fuoco, vengono scoperti in una strada di campagna a bordo dell’autovettura Mercedes di proprietà della vittima. I carabinieri hanno rinvenuto il cadavere di Hanene Hedhli sul sedile anteriore, lato passeggero, mentre quello di Scorza nel bagagliaio con a fianco un agnello sgozzato. «Senza Hanene Hedhli non ci sarebbe celebrato nessun processo», prosegue Riello nella requisitoria. E il pm, appunti in mano, spiega il motivo con dovizia di particolari. «Scorza ha ricevuto una telefonata da Adduci, si è premurato di andare a prendere la compagna. Questa scelta non ha gli ha salvato la vita, ma ha smascherato uno dei suoi assassini».
Questa l’ipotesi avanzata da Riello. «Se Scorza fosse andato da solo all’appuntamento avrebbe certamente trovato la morte, ma i vetri della sua auto sarebbero integri, perché sono stati infranti dai proiettili che hanno colpito a morte la sua compagna». A quel punto, «gli assassini hanno abbandonato l’auto segnata dai colpi mortali ma se Hedhli non ci fosse stata non l’avrebbero mai fatto». L’omicidio, dunque, sarebbe stato pianificato e Adduci avrebbe partecipato. «Il suo alibi è l’agnello lasciato nella vettura, insieme ai corpi senza vita della coppia». Insomma, la donna si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato e gli assassini «l’hanno uccisa senza farsi problemi». Una testimone da eliminare. Ed allora sorge spontanea una domanda, perché i killer non hanno ucciso anche Salvatore Adduci, unico testimone in vita in grado di raccontare quanto accaduto? Secondo il pm Riello «Perché era la loro base, il loro complice».
I regolamenti di conti negli ambienti di mala spesso si accompagnano a simboli lasciati da chi si macchia del delitto. Non un vezzo, ma un marchio di fabbrica dell’assassino o degli assassini che ritroviamo anche nel duplice omicidio compiuto a Castrovillari. Nell’auto (una Mercedes) di Scorza vengono ritrovati una carta raffigurante il “2 di coppe” e l’agnello sgozzato. Sono altri indizi, per Riello a confermare come l’omicidio sia stato compiuto nel podere di Adduci e non nel luogo del ritrovamento dei corpi senza vita della coppia. «Il terriccio rinvenuto dietro il pantalone di Scorza indica che è stato trascinato via dal podere, quando non era più in vita. Adduci poi ha provveduto ad una veloce “bonifica” del sito per eliminare le prove». Quello che rimarca Riello, nel corso della sua lunga requisitoria è la spietatezza degli assassini «che non hanno avuto problemi a correggere il tiro ed uccidere un’altra persona».
Come anticipato, l’auto rinvenuta con a bordo i due cadaveri, sarebbe stata spostata da uno dei responsabili dell’omicidio rendendo tecnicamente impossibile affermare con esattezza a quale distanza siano stati sparati i colpi mortali. Per il pm, dunque, l’agguato mortale si sarebbe consumato nella tenuta di proprietà di Adduci. «Gli assassini non erano lì per caso. L’accensione della mungitrice è servita a coprire il rumore degli spari. Due colpi hanno ucciso Scorza. Il podere era luogo ideale per coprire il rumore degli spari, un posto nascosto e utile per caricare il cadavere di Scorza nell’auto».
Altro elemento ritenuto utile dall’accusa a sostegno della tesi di colpevolezza di Adduci è il sistema di videosorveglianza installato nel podere e che «certamente ha ripreso le persone, almeno due, corree di Adduci». Immagini però mai rese visibili a causa del mancato funzionamento del sistema. «Doveva sparire» – tuona Riello. «Subito dopo l’agguato Adduci manomette l’impianto di videosorveglianza. La polizia giudiziaria, in sede di rilievo, ha rinvenuto un monitor spostato e cavi staccati». Sulla questione relativa al non funzionamento del sistema di videosorveglianza, il pm aveva insistito nel corso del procedimento quando era stata escussa Sara Adduci, la figlia dell’unico imputato. In quella occasione, secondo il pubblico ministero, «Adduci istruisce la figlia su quello che doveva dire. La figlia dell’imputato ha deposto e non era obbligata a farlo, ma Sara Adduci non ha rinunciato, dicendo il falso». Secondo Riello, la giovane avrebbe «provato a neutralizzare le intercettazioni» nelle quali viene captata mentre discute con il padre. «Dice di essere stata impegnata e di non aver avuto tempo per recarsi al podere, facendo intuire che non era un luogo che frequentava abitualmente, e giustifica le frasi intercettate asserendo di essere stata lei a chiedere al padre lumi su cosa dire ai Carabinieri e non viceversa». Tuttavia, sottolinea il pm, «un attimo dopo, dichiara di ricordare che le telecamere installate nel podere non registravano da tempo. Quindi quel posto non le era propriamente estraneo, ma addirittura era a conoscenza del fatto che le camere non funzionassero».
Dalla ricostruzione dell’accusa, la figura di Francesco Adduci appare agli occhi della ‘ndrangheta un anello debole. Da presunto complice a uomo in grado di poter rendere edotti i magistrati dell’accaduto. Motivo per il quale, secondo il pm, «in otto giorni vengono incendiate due macchine della famiglia Adduci. C’era paura che potesse parlare». E anche in questo caso, la figlia dell’imputato – ricorda Alessandro Riello – non ha saputo fornire alcuna ipotesi valida e in grado di giustificare un evento incendiario mai capitato prima».
Conclusa la requisitoria, la presidente della Corte d’Assise Paola Lucente concede la parola ad uno dei due difensori dell’imputato, l’avvocato Cesare Badolato. La sua arringa, prova a smontare la tesi dell’accusa. Nel corso di una delle ultime udienze, la difesa dell’imputato aveva chiesto l’acquisizione di un servizio della redazione del Tgr Calabria riferito al duplice omicidio. Nel video, i difensori avrebbero presupposto la presenza di una macchia rossa (forse sangue) sull’asfalto nel perimetro di territorio dove è stata rinvenuta la Mercedes di Scorza e della compagna, raggiunti da 14 colpi di arma da fuoco. Questa mattina, tocca all’avvocato Giancarlo Greco procedere con l’arringa, che anticipa la camera di consiglio e la lettura della sentenza da parte della Corte. (f.benincasa@corrierecal.it)
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