TORINO «Gli immobili che gli Assisi avevano in Brasile glieli procurava il “Turco”, quello che a Praia Grande abitava nella soffitta sopra di noi (…) gli mancavano delle dita e per questo lo chiamavamo anche Manuzza. È lui che controllava la cocaina che avevamo negli appartamenti al piano di sotto e comunque ci forniva assistenza sotto vari profili». «Certe case venivano intestate a Paula Assisi» racconta ancora Vincenzo Pasquino. «Altre ad altre persone tra cui mi sembra anche dei parenti di Paula. Il papà di Paula era in politica, aveva interessi in una società che si occupava degli autovelox stradali nello stato di San Paolo». A raccontare i dettagli alle autorità brasiliane è Vincenzo Pasquino, classe ’90, nato e cresciuto a Torino, ma considerato membro di spicco della ‘ndrangheta. Prima dell’estradizione, infatti, Pasquino ha iniziato a fornire una serie di dettagli legati al narcotraffico in terra verdeoro.
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Nel corso dei suoi racconti, il narcobroker Pasquino cita anche un avvenimento legato proprio agli Assisi. «(…) ho cercato di accollarmi la responsabilità del carico per scagionare gli Assisi, era stato un accordo tra me e loro. Patrick mi aveva detto “accollati il reato, confessa, perché qui in Brasile anche se ti condannano a 20 anni, te ne fai 3 e poi vai in semilibertà, ti do un carico caduto e tu te lo accolli”. Il vantaggio per me sarebbe stato quello di non essere estradato in Italia e far decorrere il termine di fase della misura cautelare italiana». Una soluzione, però, bocciata da “U Tamunga”. «Rocco Morabito però mi aveva sconsigliato di fare questa cosa perché in Brasile era cambiata la legge e avevano aggravato le pene per i reati di traffico di stupefacenti. Quindi mi sono accollato solo il materiale sequestrato nell’appartamento degli Assisi in Praia Grande al momento del loro arresto…».
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Pasquino ha poi illustrato i dettagli sul narcotraffico dal Brasile verso l’Italia. «Sono stato il primo ad utilizzare la tecnica di legare la cocaina sotto la chiglia delle navi in partenza da Paranaguá, mediante alcuni sommozzatori colombiani, tre precisamente che avevo fatto venire io. Erano loro a nascondere la merce dietro le griglie delle prese d’acqua sommerse delle navi (…) la prima volta da Paranaguá abbiamo fatto un test con 17 Kg che si è rivelato funzionare e la merce è giunta a destinazione a Gioia Tauro». Successivamente «abbiamo fatto un carico di 110 kg o forse 140 destinati a Genova, ma siccome non è stato possibile esfiltrarla per via della presenza della Polizia, sono sfati poi scaricati a Gioia Tauro. Dopo questo carico abbiamo inviato altri 39 kg al porto di Genova, ma in questo caso i sommozzatori addetti all’uscita hanno trovato la corda tagliata per cui penso sia stata rubata», racconta ancora Vincenzo Pasquino. Fu «Mario Palamara ad accusarmi di essere stato io a rubare la merce, ma non avrebbe avuto senso perché avrei dovuto poi risponderne con i fornitori brasiliani». (g.curcio@corrierecal.it)
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