TORINO È bastata una notizia, apparsa su una testata torinese, a scatenare il panico tra gli appartenenti al clan di ‘ndrangheta dei Gallace: l’adesione di Vincenzo Pasquino al programma di protezione per i collaboratori di giustizia. Siamo ancora nel febbraio del 2021 e quella del pentimento del potentissimo broker del narcotraffico, – in affari con la ‘ndrangheta – è ancora da considerarsi una fakenews. Oppure un esercizio di veggenza perché la scelta di saltare il fosso, infatti, avverrà solo tre anni più tardi, nel 2024. Pasquino, torinese classe 1990, è considerato membro di spicco dell’organizzazione criminale calabrese, è stato estradato a marzo dello scorso anno.
Tornado ai fatti emersi nell’ultima inchiesta della Distrettuale antimafia di Catanzaro, gli inquirenti sono riusciti a decriptare la chat Sky Ecc in uso ai Gallace: c’è il boss, Cosimo Damiano Gallace, i due Domenico Vitale e Cesare Antonio Arcorace. Sono proprio loro in un frenetico tam-tam a scambiarsi messaggi di allarme e preoccupazione. Nell’articolo di giornale, infatti, si dava conto di un virgolettato in cui Vincenzo Pasquino «riteneva opportuno confessare tutto davanti ad un tribunale italiano», anziché espiare la pena in una prigione brasiliana. Lettera che sarebbe stata depositata ai giudici da parte dell’avvocato di Pasquino, in quel momento ricercato nell’ambito della operazione “Cerbero” condotta dalla Distrettuale antimafia di Torino. Ad aprire le danze, il messaggio di Domenico Vitale (cl. ’76), inviato in chat a Pasquino, con allegato proprio l’articolo incriminato.
Ovviamente Pasquino smentisce tutto e, con non poca fatica, cerca di convincere i suoi soci in affari di non aver iniziato alcuna collaborazione. Quelle che seguiranno saranno ore e giorni infernali per il gruppo, tra le preoccupazioni dei due Vitale a quella, soprattutto, del boss Cosimo Damiano Gallace che, dai messaggi scambiati, pare non fidarsi particolarmente di Pasquino e della sua “tenuta”. Lo stesso broker, dal canto suo, contatta alcuni soggetti, tra cui “Freddo”, “Prada” e soprattutto “Ghost”. È a quest’ultimo, infatti, che Vincenzo Pasquino avrebbe chiesto di «uccidere l’avvocato o ferirlo gravemente, firmando il gesto con suo nome cognome per lavare l’onta della missiva». Il rischio di Vincenzo Pasquino, infatti, era quello di perdere credibilità di fronte ai sodali, ma soprattutto davanti al boss dei Gallace, il quale chiedeva insistentemente spiegazioni.
Quest’ultimo peraltro – come è emerso dall’inchiesta – riteneva che la lettera incriminata e finita al giornale «l’avessero confezionata i familiari di Pasquino» a sua insaputa «per alleggerire la sua responsabilità in caso di processo a suo carico». Una tesi confermata da Vincenzo Pasquino che, in una conversazione con Domenico Vitale (cl. ’76) raccontava che tale “Prada” «si era recato dall’avvocato il quale aveva riferito che la lettera gli era stata consegnata dalla sorella». Il 2 marzo 2021 è Domenico Vitale a spiegare al boss Gallace che Pasquino «aveva revocato il proprio legale» facendo rientrare – almeno per il momento – l’allarme.
Pasquino in quei momenti temeva di essere individuato tra il Brasile e la Bolivia, arresto che effettivamente avverrà qualche settimana dopo. La scelta di collaborare con la giustizia avverrà effettivamente solo tre anni più tardi. E i Gallace avevano ragione ad aver paura. Nelle decine di pagine di dichiarazioni rese ai magistrati, infatti, Vincenzo Pasquino fa più volte riferimento ai rapporti intrattenuti con la potentissima famiglia di ‘ndrangheta di Guardavalle, attiva in Calabria, sul litorale laziale e con ramificazioni anche in Sudamerica.
«La mia famiglia era sempre stata affiliata alla ndrangheta, i Pasquino erano proiezione dei Gallace» ha raccontato il pentito agli inquirenti. «Preciso che per la mia appartenenza alla famiglia Pasquino, non avevo ritenuto di affiliarmi formalmente, poiché comunque ero riconosciuto come un soggetto legato ai guardavalloti e agli Agresta». Pasquino, parlando di un gruppo criminale di Torino composta da lui, Patrick Assisi, Antonio Agresta (cl. ’60), Michelangelo Versaci, Michael Assisi e Nicola Di Carne, parla di «un altro gruppo che incontrai in un hotel sulla SS 106 a Guardavalle nell’estate del 2017, in una riunione assieme, a Pino Grillo, Domenico Vitale, il figlio Papalia Antonio (senza capelli), Francesco Barbaro inteso “Salsiccia”, Pino Perre, Michelangelo Versaci, Cosimo Gallace, un cugino di Cosimo Gallace che ha la squadra di calcio a Guardavalle ed abita a Nettuno» e, riferendosi al narcotraffico, spiega che «per Guardavalle, e intendo Gallace e Vitale, abbiamo fatto anche 14 Kg nel 2020, che sono andati a buon fine». (g.curcio@corrierecal.it)
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