Al Nazareno è partita l’operazione schleinizzare il Mezzogiorno. La Campania deluchiana è commissariata, la Basilicata quasi con un partito balcanizzato alla vigilia delle elezioni a Matera e che va normalizzato, commissariata anche la Sicilia affidata al calabrese Nico Stumpo, una vita da mediano molto affidabile, ritenuto il miglior parlamentare per rimettere il Pd in ordine. Un bel riconoscimento al suo valore da dirigente politico. In Calabria si è scelta un’altra strada.
Fine dei mandati per il segretario regionale Nicola Irto e per i cinque segretari provinciali nonostante avessero ancora molto tempo previsto dalle precedenti elezioni. Il ribaltamento dei ruoli è stato giustificato come allineamento di scadenze nazionali in modo da non esporre a sfiducia pubblica i segretari in carica.
L’operazione è stata preparata per tempo prima della riunione della direzione nazionale di giovedì e ne era a conoscenza solo qualche big della vecchia guardia calabrese ex Margherita. Irto ha fatto buon viso al gioco romano e, da abile driver qual è, ha rovesciato a sua favore la contingenza e in questo modo nessuno dovrà pagar dazio su eventuali scivoloni elettorali a Lamezia Terme.
Irto è un quadro meridionale di Bonaccini, quest’ultimo sempre più alleato di Schlein, e in ottimi rapporti con il colonnello di Elly, Boccia.
Il parlamentare reggino ora saluta con fervore i congressi che hanno interrotto il suo mandato e di fatto contestato la sua leadership come la migliore soluzione possibile. Nicola è pronto a vincere il congresso regionale sul campo e a liquidare molti segretari provinciali non di sua stretta osservanza e gradimento. La forte area De Micheli ha da tempo cambiato i paramenti e secondo antica attitudine e tradizione troverà modalità per stare suoi nuovi equilibri vincenti.
Irto segretario rinnovato dal voto, diventato neoschleiniano e custode del verbo di Elly, in questo modo può arrivare alle prossime Regionali dando lui carte su nomi in lista e candidato presidente.
Jobs act, guerre, Europa, massimalismo o riformismo, opposizione alla sanità calabrese guidata da comitati? Per il momento vige quella celebre battuta di un film di Nanni Moretti. “Il dibattito no”.
Prima le poltrone. Poi si vede. Ha detto il cieco.
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Magistrati calabresi compatti nella protesta contro la riforma Nordio e Meloni sulla separazione della carriere di cui il cittadino medio sa poco e capisce meno. Foto con la Costituzione in mano e la coccarda sul petto la gran parte delle toghe calabresi. Ai flash mob e assemblee di Catanzaro e Reggio Calabria niente società civile, attori, registi, scrittori come in altre parti d’Italia. Ha fatto eccezione la Fondazione Trame di Lamezia Terme presente a Catanzaro e che nel suo prossimo festival dedicherà un momento di dibattito per ricordare l’omicidio del magistrato catanzarese, Francesco Ferlaino, ucciso 50 anni fa a Lamezia Terme in inquietanti modalità impunite per la verità giudiziaria.
Ha insolitamente protestato a Napoli anche il magistrato calabrese più noto d’Italia.
Nicola Gratteri ha affisso la Costituzione alla porta del suo ufficio ed è andato a sedersi in prima fila all’assemblea di protesta napoletana. Attenzione, perché la sua proposta sul sorteggio dei membri laici e togati al Csm è l’unico emendamento alla Riforma che viene presa in seria considerazione in queste ore tra via Arenula e Palazzo Chigi in vista dell’incontro con l’Amn.
Muta e silente in queste ore l’opposizione calabrese di ogni colore a Gratteri e alla magistratura militante. Fa eccezione come un coraggioso ultimo mohicano Mario Oliverio. Il quale ha messo nero su bianco che tra Catanzaro e Reggio Calabria nel 2024 lo Stato ha speso per risarcimenti per ingiusta detenzione circa 9 milioni di euro rispetto ai 26 nazionali. Il 35 per cento di quota nazionale. Un terzo di tutt’Italia. Secondo Oliverio il dato ci restituisce una Calabria dove la ‘ndrangheta, a suo modo di vedere, aumenta al pari della malagiustizia.
Chissà che ne pensa il reggino Piero Gaeta eletto, con plauso di Mattarella, Procuratore Generale di Cassazione, una sorta di capo di tutti i pm che la carriera se l’è costruita da giovane tra la pretura di Melito Porto Salvo e Reggio Calabria e i tribunali di frontiera di Paola e Palmi.
Inviso ai giornali di destra nazionali che hanno cercato di sporcarne l’immagine per delle chat con Luca Palamara. La miglior risposta Gaeta la diede come inquisitore che ha chiesto e ottenuto dal Csm la radiazione dalla magistratura proprio di Luca Palamara oltre alle pene severe richieste per i togati suoi sodali che con la politica avevano trattato per la nomina del procuratore della Repubblica di Roma. Gaeta mi sembra un buon Procuratore generale di Cassazione.
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Due anni dalla evitabile strage di migranti a Steccato di Cutro quando a pochi metri della spiaggia un caicco si spezzava provocando la morte di almeno 94 persone, molte bambine e bambini. Sulla spiaggia all’ora del naufragio non c’era nessuno del governo e nessuna parola è stata proferita. C’erano invece Elly Schlein, la voce autorevole della Chiesa, semplici cittadini.
C’era alla celebrazione anche un palestinese sopravvissuto al disastro, arrivato dal Belgio, per commemorare i suoi compagni nonostante sia ancora senza documenti. Il governo Meloni aveva promesso solennemente di ricongiungere tutti i superstiti con i loro parenti. Dopo due anni nulla di nulla.
Ha fatto bene il presidente Occhiuto a ricordare questa macchia nera italiana, perché noi siamo calabresi e abbiamo vissuto sulla nostra pelle i morti di Marcinelle, Mattmark, Monangah quando gli afgani eravamo noi e non lo dimenticheremo mai.
A Crotone c’è il giardino pubblico intitolato ad Alì, il bambino più piccolo morto nel naufragio, e che porta il nome della poesia-profezia scritta da Pier Paolo Pasolini.
Quella notte mista ad alba nessuna autorità statale era impegnata a soccorrere ma solo ad aspettare di compiere la solita operazione di polizia. Come a Roccella Jonica nel giugno dell’anno scorso, una strage nascosta con complicità.
Di Cutro si occupa la magistratura in diversi processi.
Il capitano dei caicco non si sa chi sia, verosimilmente è annegato nel naufragio. Il timoniere, un siriano, ha scelto il rito abbreviato ed è stato condannato a vent’anni. Sono stati inflitti 43 anni a due pakistani e ad un turco in un procedimento, mentre un altro giovane turco ha ricevuto vent’anni in Appello ma il suo avvocato ha annunciato ricorso in Cassazione.
Sono questi i capri espiatori della strage da esibire come condannati del traffico d’uomini. Manovalanza di menti nascoste che si arricchiscono restando impuniti.
Il processo chiave si apre il prossimo 5 marzo con l’udienza preliminare a Crotone. Quattro militari della Guardia di Finanza e due della Guardia Costiera sono sospettati di non aver fatto buona guardia con onore e disciplina quella notte nell’esercizio delle loro funzioni alla Sala operativa del Roan delle Fiamme gialle di Vibo Valentia, al Gruppo aeronavale di Taranto, al Centro coordinamento salvataggi di Roma, sulla costa di Reggio Calabria. Tecnicamente possono essere imputati di naufragio colposo e omicidio plurimo colposo. Due reati colposi, hanno provocato tante vittime. Non volevano farli morire quei 94 cristiani in quel tratto di mare ma sono morti. L’udienza preliminare dovrà capire se i sei militari sono stati negligenti o imprudenti, oppure se non hanno saputo svolgere il loro ruolo davanti ad una barca naufragata. Si spera che la Giustizia accerti se il piano Sar italiano di ricerca e salvataggio in mare sia stato attuato secondo i protocolli previsti dalle carte istituzionali e cosa non ha funzionato in una catena di comando che opera il più delle volte con successo.
Io però temo che in quell’aula giustizia di Crotone i veri responsabili del naufragio non siano stati proprio convocati.
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Segnalo che Michele Drosi, intellettuale di raffinata analisi e di chiara prosa, si è cimentato su uno sfizioso libro dedicato all’illuminista Gaetano Filangieri recuperandone il profilo premoderno di riformista e garantista ante litteram. Non se ne abbia a male la nuova politica ma che cultura diversa ha chi si è formato nelle sezioni dei partiti della prima Repubblica come il sempre acuto Michele Drosi. (redazione@corrierecal.it)
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