COSENZA Cambio della guardia nella rappresentanza parlamentare calabrese. Via una donna per un uomo, esce una pentastellata per un forzista. Non si tratta di una sostituzione da Champion ma l’ultimo capitolo di una annosa vicenda combattuta scheda per scheda e con riconteggio che ha assegnato ad Andrea Gentile 240 voti decisivi per il ritorno in Parlamento sotto le insegne di Forza Italia. Lacrime, contumelie e battaglia tra gli scranni per la defenestrata Elisa Scutellà accompagnata in corteo attraverso i corridoi della Camera fino alla Sale delle Conferenze.
Vani i tentativi di chiedere il voto segreto e di andare al rinvio del voto in modo di avere il parere della Giunta per il regolamento. Si era tentato di portare la discussione anche a Palazzo Madama ma qui negato anche il diritto di tribuna.
“A’ la guerre comme à la guerre” considerato che il voto della maggioranza era schiacciante e papà Tonino Gentile sarà rimasto soddisfatto dell’esito finale della vicenda che ha visto scendere in aula i principali leader dei partiti in contesa.
Era in aula il ministro degli Esteri Antonio Tajani che ha messo da parte la guerra in Ucraina per partecipare alla piccola guerra del seggio di Calabria in contrapposizione al presidente Antonio Conte che a partita chiusa sulle schede bianche diventate azzurre ha affermato: «C’è una Procura che indagherà. Una sola famiglia potente in Calabria per virtù dinastica tiene in scacco e condiziona l’intera maggioranza di governo». (qui la notizia)
La carta bollata continuerà ad affollare le cancellerie e su questo aspettiamo le prossime puntate di una novella che ha antichi precedenti considerato che nel 2016 i Cinque stelle a colpi di interrogazioni contestavano l’elezione del giovane Andrea Gentile nel Consiglio di amministrazione dell’Istituto nazionale dei tumori quando papà Antonio era sottosegretario del governo Renzi.
La vicenda ha scaldato il popolo della Rete che sull’esito dei conteggi non esita a scrivere “porcata” e a parlare di abuso della democrazia. Un’occasione per i Cinque Stelle per rinsaldare il rapporto con gli indignati delle caste. Il giornalismo nazionale ha raccontato in modo molto terzo la bagarre. Andò diversamente nel 2016 quando esplose la vicenda del giornale Ora di Calabria, con l’audio divulgato dall’allora direttore Regolo dello stampatore Umberto De Rose il quale, adoperò la metafora del cinghiale ferito in merito ad un articolo da non pubblicare, inconsapevole di addossare un toponimo a Tonino Gentile che resiste ancora oggi nell’immaginario popolare. Il clamore fu nazionale e non era mai accaduto prima che i direttori dei principali media italiani, ovvero Ferruccio De Bortoli per il Corriere della Sera, Ezio Mauro a nome di Repubblica, Roberto Napoletano che allora guidava Il Sole 24 ore, Mario Calabresi direttore de La Stampa ed Enrico Mentana per La7, chiedessero di dimettere un sottosegretario in difesa della libertà di stampa.
Se si rileggono quegli editoriali, che riguardavano una vicenda personale proprio di Andrea Gentile finita poi favorevolmente per il giovane politico, si trovano appelli diretti al capo del Governo Matteo Renzi come poche volte si è registrato nella storia della Repubblica. Appelli che costrinsero Tonino Gentile a dover dimettersi da sottosegretario ai Trasporti. In quell’occasione aveva perso e scrisse anche una lettera a Giorgio Napolitano spiegando il suo gesto nell’interesse del Paese. Il paradosso era che Tonino Gentile non fu mai indagato per quella vicenda, ma di certo il Governo non poteva cadere.
Eventi lontani sepolti dalla cronaca di oggi.
Andrea Gentile, ancora una volta recuperato ai supplementari parlamentari, torna come erede di una famiglia politica ai vertici di un potere che si regge saldo di consenso da ben 45 anni. Ne fa parte anche Katia Gentile approdata alla Lega in consiglio regionale e che volete che sia che i due cugini in politica estera siano uno per il riarmo del paese e l’altra per il pacifismo trumpiano. I Gentile interpretano al meglio il modus operandi di Enrico Mattei, colui che aveva teorizzato che per lui i partiti erano dei taxi affermando “li utilizzo, pago il dovuto, e scendo”. Antonio, Pino, e i figli Andrea e Katia nel corso delle loro carriere hanno impiegato almeno nove diversi simboli delle formazioni di Prima e Seconda Repubblica con l’aggiunta di qualche civica. Senza dimenticare il ruolo dello scomparso terzo fratello Lello Gentile, segretario regionale della Uil sanità, cinghia di trasmissione di una bolla imponente che arriva ai giorni nostri con primari e imprenditori fedeli alla causa.
Una dynasty che ha segnato l’ascesa di uno dei gruppi politici più longevi della storia calabrese a cavallo di due secoli.
Ironia della sorte stasera al Piccolo di Milano debutta il monologo “Storia di un cinghiale” di Gabriel Calderon. Non è ispirato a Cesare Borgia ma a Riccardo III . Una figura adatta alla famiglia Gentile che ha da sempre l’imperativo categorico della conquista del trono. Quel trono-seggio di nuovo conquistato da Andrea Gentile.
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Pordenone capitale italiana della cultura. Reggio Calabria resta al palo come Pompei, Aliano e le altre concorrenti. Ancora una volta in Calabria sono mancati dei tasselli. Il piano finanziario non perfetto, la rincorsa al concorso di bellezza, tanta buona volontà che va coltivata ora nelle aperture promosse dal ministero ai perdenti per continuare. Pordenone ha vinto poggiando su una stretta collaborazione con la sua università e per delle manifestazioni storicizzate quali “Pordenone legge” e “Le giornate del cinema muto” che sono rodata industria culturale territoriale. Le opere immateriali di una capitale della cultura si costruiscono nel tempo non s’improvvisano. Sarebbe però meglio rimuovere le regole d’ingaggio che vedono decidere il titolo ad una città che ha un sindaco di FdI, fratello di un ministro tutti e due stretti sodali della famiglia Meloni e del ministro Giuli. Una commissione terza darebbe più trasparenza e serenità al giudizio finale.
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Mi sembra una gran bella notizia culturale che il giovane e motivato presidente della gloriosa Accademia cosentina, Antonio D’Elia, sia stato chiamato a conferire al Gabinetto Viesseux di Firenze (luogo letterario che ad essere stretti fu frequentato tra i tanti da Leopardi e Manzoni) per una lectio magistralis sul rapporto tra la Madonna e Dante Alighieri. De Luca che non è un parruccone ha richiamato nel solenne salone Manfredi e Gioacchino Da Fiore, ma ha anche declinato di Parrasio e di Telesio, di San Francesco di Paola e di Tommaso Campanella, senza dimenticare Corrado Alvaro. D’Elia non ha dimenticato la sua ossessione, che è la Biblioteca civica, organismo vivente dell’Accademia cosentina, ed ha raccontato dei 7 chilometri lineari di testi rari e pregiati che stanno in casse e scaffali. Una Biblioteca civica chiusa da anni per le incurie dei contemporanei e che D’Elia ha solennemente annunciato più volte a Cosenza e ora in riva all’Arno prossima alla riapertura.
L’Accademia cosentina non è più sepolta nelle sue chiuse stanze. Dal Gabinetto Viesseux nuova aria finalmente nazionale per l’Atene di Calabria. Notizia che fa il paio con la donazione da parte della famiglia di Ugo Piscitelli, sindaco di Mendicino e attrezzato intellettuale, del suo ingente patrimonio librario che ha consentito di aprire all’Auser di Rende una biblioteca di comunità a lui dedicata. Disse Umberto Eco: “Se c’è un paradiso deve essere una biblioteca”. Tra Cosenza e Rende il paradiso aumenta. (redazione@corrierecal.it)
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