Ultimo aggiornamento alle 21:40
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 6 minuti
Cambia colore:
 

il verbale

‘Ndrangheta, la minaccia di Alvaro all’ex “narcotrafficante d’oro”. «Se lo avessi tradito avrei pagato con la morte»

Il pentito Vittorio Raso ai pm: «In una lettera Agresta era contento della mia affiliazione». E sul figlio: «Avevo paura prendesse il mio posto»

Pubblicato il: 11/04/2025 – 1:02
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, la minaccia di Alvaro all’ex “narcotrafficante d’oro”. «Se lo avessi tradito avrei pagato con la morte»

LAMEZIA TERME «Mi diceva che la loro era una famiglia seria, che le famiglie importanti erano loro, Bellocco, Pesce, Di Stefano, che erano state quelle a creare le doti alte, le cariche alte nella ‘ndrangheta». E ancora: «Quando Domenico mi ammoniva dicendomi che non dovevo sbagliare, che lui aveva messo la sua faccia per me, mi diceva che, se avessi tradito, avrei pagato con la morte». Davanti ai pm della Distrettuale antimafia è Vittorio Raso a mettere in fila fatti ed episodi precisi, utili a fornire ulteriori tasselli alle recenti inchieste sulla presenza della ‘ndrangheta in Piemonte. Come la recente inchiesta “Factotum”, chiusa nei confronti di sei indagati.

Raso l'”Esaurito” ora pentito

Inserito per qualche tempo figurava nella lista dei 100 latitanti più pericolosi prima di essere catturato a giugno del 2022, Vittorio Raso – soprannominato “Esaurito” e ora collaboratore di giustizia – è considerato un elemento di spicco della ‘ndrangheta piemontese. L’ex narcotrafficante d’oro al servizio delle cosche calabresi è stato condannato per aver favorito la famiglia Crea (i fratelli Adolfo e Aldo Cosimo ritenuti fino a pochi anni fa i capi della mafia calabrese a Torino) con un ruolo in una serie di estorsioni perpetrate dalle mogli dei boss una volta che questi erano finiti in carcere. Sentito come persona sottoposta ad indagini in stato di detenzione, davanti ai pm tira in ballo uno degli esponenti più potenti e importanti della ‘ndrangheta attiva e radicata ormai da tempo in Piemonte: Domenico Alvaro, classe 1977, figlio di Carmine Alvaro, classe 1953, noto come “u cupirtuni”, esponenti della ‘ndrina degli Alvaro, discenti dei “Carni i cani” di Sinopoli.

Il potere degli Alvaro

Quella degli Alvaro in Piemonte è una storia che parte da molto lontano. Intrecci tra territorio e affari criminali che sono già stati ricostruiti (e sanciti) da sentenze già passate in giudicato. Una delle originarie è stata emessa al termine del processo “Prima”, divenuta irrevocabile il 7 febbraio del 2003, con la condanna sia di Domenico Alvaro (cl. ’77) che Carmine Alvaro (cl. ’53). Un procedimento che, per la prima volta, ha consentito di ricostruire l’apparato della potente cosca di ‘ndrangheta. E Raso davanti ai pm parla anche di un episodio specifico, legato all’omicidio di un tale di San Mauro. «Domenico Alvaro mi disse che avevano cercato per mari e per monti quello che poi avevano ucciso» perché «dovevano vendicare un parente loro, per una storia vecchia che manco erano nati loro… mi disse che lo avevano cercato per tanto tempo questo qua, che comunque era condannato a morte, non poteva andare da nessuna parte, anche tra cinquant’anni lo avrebbero ammazzato». E, a proposito dell’omicidio di San Mauro, Raso spiega: «Mi disse che era stato suo fratello Stefano a sparare in testa a quella persona. Con me parlò solo del fratello». In un precedente interrogatorio, Raso aveva parlato ai pm della possibilità che Alvaro facesse da padrino per suo figlio. Circostanza che poi non si è verificata perché «avevo paura che mio figlio da grande fosse chiamato a prendere il mio posto, nel senso nella ‘ndrangheta, dove il figlio prende il posto del padre, e la cosa volevo evitarla. Mio figlio l’ho sempre tenuto alla larga da queste cose».

«Mai stato in Calabria con Alvaro, la Calabria è al Nord ormai»

«No, non ci sono mai stato con Alvaro» dice Raso ai pm che gli chiedono se sia mai stato in Calabria. «Del resto – dice – la Calabria è su al Nord, nel senso che è tutto su, mi riferisco a tutte le ‘ndrine le cose che sono tutte su al nord, giù c’è la casa madre, gli anziani. Poi è tutto bruciato giù, ci sono microspie dappertutto, la gente non parla neppure più tanta è la paura di essere intercettati». E spiega ancora: «Dopo essere stato affiliato, sono stato in vacanza in Calabria per i fatti miei e non con Alvaro, andavo a Scilla, mio fratello Gino ha sposato una di Scilla, e poi mi piaceva come posto. Quando ero lì ero sempre attento a quello che dicevo…».

«Versaci mi disse che si era affiliato a Volpiano»

C’è spazio anche per parlare di Michelangelo Versaci (cl. ’86), coinvolto nell’inchiesta “Samba” della Dda torinese perché considerato un elemento fondamentale per il «mantenimento dei contatti tra gli esponenti della ‘ndrangheta calabrese e quelli piemontesi con quelli in Brasile». Da Raso i pm vogliono sapere di più sulla presunta affiliazione di Versaci al locale di Volpiano. «Fu lui stesso a dirmelo, mi venne a trovare a casa il giorno dopo la mia scarcerazione. Versaci già sapeva della mia affiliazione, sapeva che ero molto amico di Micu Alvaro perché quest’ultimo si era trovato nel carcere di Padova con Antonio Agresta ed evidentemente aveva poi mandato la notizia fuori, della mia affiliazione».

La lettera di Alvaro e i «complimenti» per l’affiliazione

Raso ai pm racconta, poi, di un altro episodio sempre legato alle affiliazioni. «Alvaro ricordo che mi scrisse una lettera da Padova, dal carcere, mentre ancora io ero detenuto ad Alessandria. In quella lettera mi fece capire che c’era Antonio Agresta con lui, che Antonio si era rallegrato del fatto che io fossi entrato nella ‘ndrangheta, mi fece capire anche che Versaci era a sua volta stato affiliato, e mi scrisse qualcosa del tipo che una volta uscito avrei dovuto essere vicino proprio a Versaci che “ci vuole bene”, nel senso che ormai era affiliato, ovviamente era tutto scritto in codice, non in maniera esplicita».
Quindi quando Versaci raccontò a Raso di essersi affiliato, l’ex narcotrafficante ne era in realtà già consapevole. «Mi disse che si era affiliato con Antonio Agresta, nel locale di Volpiano, che aveva Io “sgarro”. Insomma, era nella minore, era come me». E così, racconta ancora Raso ai pm, «abbiamo cominciato a lavorare insieme in quel periodo, io ero agli arresti domiciliari, lui era libero e abbiamo ricominciato a frequentarci. Mi disse che con il fumo in quel periodo lavorava l’ex socio di Antonio Murra, un certo Davidino, non ne ricordo il cognome. Versaci mi disse che prendevano in quel periodo il fumo da questo Davidino che si era messo a disposizione per Antonio Agresta, lo importavano direttamente dalla Spagna». (g.curcio@corrierecal.it)

Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato  

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del mare 6/G, S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano | Privacy
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x