COSENZA A ottant’anni dalla Liberazione, ricordare le vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine è un atto di giustizia verso chi ha dato la vita per la libertà. Tra i 335 italiani trucidati dai nazisti il 24 marzo 1944 in una cava alla periferia di Roma, figurano quattro calabresi: Donato Bendicenti, Franco Bucciano, Paolo Frascà e Giovanni Vercillo. Le loro storie, alcune delle quali riscoperte e documentate dal presidente dell’Istituto calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea Paolo Palma nel saggio I martiri calabresi alle Fosse Ardeatine – Tra delatori, spie e la famigerata banda Koch, offrono uno spaccato toccante della lotta partigiana e della brutalità della repressione nella Roma occupata.
Nato a Rogliano il 18 ottobre del 1907, era un avvocato comunista e partigiano attivo nella Banda Trionfale. La sua casa in via dei Gracchi era punto di riferimento per la direzione clandestina del Pci. Arrestato il 3 marzo 1944 dalla famigerata banda Koch, fu torturato senza mai cedere, fino alla morte. Aveva 36 anni. La sua vicenda è legata anche a un momento cruciale della Resistenza: poco prima dell’arresto, aveva ospitato una riunione con Amendola, Scoccimarro e Pellegrini. Probabilmente se Amendola – capo dei Gap – fosse stato catturato quel giorno, l’attentato di via Rasella e la stessa rappresaglia alle Ardeatine non si sarebbero forse mai verificati. Bendicenti fu decorato con la Medaglia d’argento al valor militare alla memoria. A Cosenza, una via porta il suo nome.
Di Castrovillari, nato il 5 agosto del 1894, era tra i principali dirigenti del Movimento Comunista d’Italia – Bandiera Rossa. Fu arrestato il 21 marzo del 1944 mentre organizzava un’evasione dal carcere di Regina Coeli, vittima anch’egli a 49 anni della delazione. Bucciano rappresenta il volto ribelle di una generazione che non si arrese al fascismo nemmeno sotto tortura. La sezione del Pollino dell’associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti (Anppia) è intitolata alla sua memoria.
Nato a Catanzaro l’11 ottobre del 1908, avvocato e capitano dell’esercito, era l’unico dei quattro ad avere ancora un ruolo istituzionale. Referendario della Corte dei Conti, faceva parte della banda Fossi del Fronte Militare Clandestino. Anche lui fu arrestato (il 18 marzo 1944) a causa di una spia per sospetti collegamenti con le autorità miliari alleatee e giustiziato alle Ardeatine. Aveva 35 anni. La sua doppia identità – uomo dello Stato e resistente – rende il suo sacrificio ancora più emblematico.
Di Gerace, nato il 18 maggio del 1898, combatté in due formazioni partigiane: quella socialista guidata dal Gobbo del Quarticciolo e la banda Neri del Fronte Militare Clandestino. Dopo la sua morte, fu accusato – ingiustamente – di essere stato una spia delle SS. Una vicenda intricata e dolorosa, che Paolo Palma ha ricostruito con precisione, dimostrando come Frascà sia stato vittima di un inganno ordito dalla banda Koch. Arrestato in seguito alla delazione di un amico infedele, fu detenuto a via Tasso e infine giustiziato a 45 anni. (f.v.)
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