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Le intimidazioni a Vibo e Tropea, i nuovi equilibri criminali e la reazione dello Stato

Cinque atti intimidatori in poche settimane che richiamano la Vibo pre-Rinascita Scott. Ma oggi comunità e istituzioni reagiscono con coraggio

Pubblicato il: 27/04/2025 – 7:03
Le intimidazioni a Vibo e Tropea, i nuovi equilibri criminali e la reazione dello Stato

VIBO VALENTIA Cinque intimidazioni in poche settimane: bottiglie incendiarie, cartucce, danneggiamenti. Episodi che rimandano alla Vibo Valentia di qualche anno fa, quando imprenditori e politici erano vessati dalla ‘ndrangheta che, su tutto il territorio, la faceva da padrone. Tempi neanche troppo lontani, prima di quella maxioperazione che, al netto di come andrà a finire nel processo, rappresenta uno spartiacque per la comunità vibonese. C’è un prima e un dopo Rinascita Scott a Vibo: lo sanno bene i cittadini, lo ripetono – giustamente – magistrati e istituzioni che per primi si sono resi conto del cambio di passo della società, non più inerme e indifferente (per gran parte) ma che si indigna e risponde con coraggio alle intimidazioni. «Oggi c’è una comunità che reagisce» ha detto, qualche giorni fa, il prefetto di Vibo Anna Aurora Colosimo al Corriere della Calabria, tornata da poco in città dopo un periodo di assenza e che, forse più di altri, può rendersi conto della differenza. Un concetto che ha ribadito più volte anche il procuratore Camillo Falvo: «Quando sono arrivato Vibo era la città con più alto rapporto di omicidi o tentati omicidi in proporzione alla popolazione. Oggi viene vista come un’isola felice».

Gli equilibri criminali e le nuove leve

Niente equivoci e niente illusioni, la ‘ndrangheta non è scomparsa e non è morente: resta, calma e silente, come un parassita infiltrato nella società. Probabilmente indebolito dal magistrale lavoro di Dda e forze dell’ordine, che negli anni hanno disarticolato le principali ‘ndrine vibonesi. La risposta dello Stato, che per molti anni è mancata, è arrivata e si è fatta sentire: adesso è lui – come dimostrano anche le più recenti indagini – a incutere timore nella criminalità, sempre più braccata e ricercata. Così come emerso anche dall’ultima operazione Call me, con le chiamate di Antonio La Rosa e Luigi Federici, entrambi detenuti in carcere, “preoccupati” per le vicende giudiziarie e gli equilibri esterni. Il presunto boss di Tropea si sarebbe raccomandato con il genero Davide Surace di fare attenzione perché «se avesse anche lui avuto problemi ‘rimaniamo in mezzo ad una strada’». Un esempio di come, con i grandi boss in carcere, dal clan Mancuso ai Bonavota, mutano anche gli equilibri criminali, con l’ascesa di quelle “nuove leve” che all’interno della stessa ‘ndrangheta reputano fin troppo istintivi e violenti.

La reazione dello Stato

Proprio Tropea, così come a Vibo, è stata teatro di inquietanti atti intimidatori nelle ultime settimane: un intero parco mezzi della Muraca Srl ha preso fuoco la notte dello scorso 14 marzo, una bottiglia incendiaria è stata trovata sul cantiere della Europa Sud Srl, sia a Tropea che in quello del Mercato delle Clarisse a Vibo. Episodi che si aggiungono a quelli avvenuti a due attività commerciali del centro vibonese negli ultimi giorni, in particolare le cartucce al neoaperto bar pasticceria Giurgola sul corso. Fatti su cui indagano gli inquirenti e per i quali si potrebbe presto risalire ai responsabili. Le intimidazioni potrebbero anche non essere direttamente legate alla ‘ndrangheta o a tentativi estorsivi, ma “figlie” di nuovi equilibri e di una criminalità più disorganizzata che organizzata, più “impacciata” e istintiva. Magari anche azioni derivanti da rancori personali o regolamento di conti, ma comunque legate a quella mentalità mafiosa che, con la ‘ndrangheta indebolita e con i veri affari altrove, adesso diventa la vera malattia da estirpare. Un percorso che lo Stato, inteso anche come comunità, sembra aver già iniziato: «Fino a 10-15 anni fa – ha detto il sindaco vibonese Enzo Romeo, anche presidente dell’associazione Antiracket – si preferiva stare zitti e nessuno ci metteva la faccia. Oggi non è più così». (ma.ru.)

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