LIMBADI Era da sola, Maria, quella mattina del 6 maggio 2016. Come ogni giorno si era recata sul suo terreno, in contrada Montalto a Limbadi. Era da sola quando fu aggredita, rapita e uccisa lasciando sul posto soltanto chiazze di sangue, ciocche di capelli e l’auto ancora accesa. A distanza di 9 anni non c’è ancora una verità giudiziaria, non ci sono colpevoli per la sua morte, con un processo che procede a rilento e vede un unico imputato. Ma c’è una storia da raccontare: quella di una donna, di una madre, di una imprenditrice uccisa perché non ha mai svenduto la sua libertà, neanche in un difficile contesto inquinato dalla ‘ndrangheta. Oggi Maria non è più da sola: lo testimoniano le centinaia di persone che si sono riunite, mai così tante come quest’anno, di fronte le sue terre per ricordarla nel giorno in cui fu rapita e uccisa. Sui volti di Federica, Letizia e Vincenzino, i figli di Maria, questa volta non c’erano lacrime ma sorrisi. «Vedere tutta questa gente qui – commenta ai nostri microfoni il figlio Vincenzino –mi dà speranza, perché significa che condividono i nostri valori. Significa sperare in un futuro migliore e nel cambiamento di questa terra».
«Chi voleva farmi tacere ha fallito. Io parlo» recita dal palco Maria, interpretata in un doloroso monologo da Lucia Limonta, che insieme a Simone Tudda, Anna Manella e Daniele Molino dell’associazione Cco hanno raccontato storie di resistenza alla criminalità. Di fronte tante istituzioni: il sottosegretario all’interno Wanda Ferro, il procuratore Camillo Falvo, le autorità e le istituzioni locali e regionali. Ci sono anche Gaetano Saffioti e Antonino De Masi, imprenditori che condividono con Maria lo spirito di libertà e ribellione alla criminalità organizzata. Presenti le associazioni come Libera, Goel ed esponenti della società civile, tra cui don Giacomo Panizza. Tra il pubblico anche Brunori Sas, accompagnato dai rappresentanti di Una, Nessuna, Centomila. Anche il ministro Carlo Nordio ha ricordato, tramite una lettera, la scomparsa avvenuta 9 anni fa.
Dal 2016 ogni anno Vincenzo ricorda nel luogo della scomparsa la sorella. Un evento ma così partecipato come oggi, in cui sono state inaugurate la stele in ricordo di Maria e l’opera dell’artista Luigi Camarilla, che ha trasformato il vecchio cancello in un monumento a spirale, come metafora della rete creata attorno al dolore della sua morte. Lì sorgerà un giardino progettato da studenti, un luogo che vuole essere un punto di riferimento di legalità e cultura. «Quel cancello – afferma Vincenzo – che doveva essere il simbolo dell’orrore, è invece il simbolo della rinascita. Studenti, associazioni, amministrazioni, pezzi dello Stato, le forze dell’ordine, il governo, tutti insieme per contrastare in modo fermo e deciso contro la violenza, contro la criminalità organizzata, contro quel femminicidio di stampo mafioso che nessuno qui ha accettato. Continueremo negli anni a dire che queste sono terre libere, non sono controllate né dalla violenza, né dal patriarcato, né dalla criminalità organizzata. E saremo qui sempre con gli studenti, con tutti voi che grazie, che amplificate i nostri appelli e fate parte di questa rete. È una rete così fitta che nessuno riuscirà a varcare». Un’opera d’arte, aggiunge ancora il figlio Vincenzino, «che testimonia che il cambiamento di questa terra è già iniziato». (ma.ru.)
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato
x
x