REGGIO CALABRIA Latte, panna, uova. Prodotti e materie prime utilizzate dai commercianti, titolari degli esercizi commerciali a Gebbione, quartiere Sud di Reggio Calabria, che non erano liberi di comprare dai loro fornitori di fiducia. Dovevano sottostare ai diktat del clan di ‘ndrangheta Labate. Lo dimostrano le indagini della Dda che hanno portato all’arresto di quattro esponenti del clan reggino nell’ambito dell’inchiesta “Monastero”.
«Ti portano il latte che te ne fotte… lo compri, favorisci e loro sono contenti… Così funziona punto». Emblematiche le affermazioni di un imprenditore che, nel corso di una conversazione captata, riassumeva così suoi rapporti con i Labate e affermava che accettando le imposizioni del clan non avrebbe subito atti intimidatori. L’uomo faceva esplicito riferimento al tipo di imposizione che subiva, ovvero l’obbligo di acquistare prodotti da commercianti vicino alla cosca, prendendo ad esempio la fornitura della panna da un soggetto indicato da loro («ha la panna quello») e che prima forniva latte. Secondo quanto emerge, i commercianti preferivano «trovare un punto d’incontro con le cosche reggine», in quanto le chiusure per danneggiamenti spaventavano la clientela e non facevano bene al commercio. Era, in tal senso opportuno per «la pace» comprare dal fornitore indicato dalla cosca, piuttosto che vendere i prodotti ai sodali ad un prezzo inferiore.
Storicamente, – scrive il gip – i “Ti Mangiu” – “nell’ottica della monopolizzazione del controllo criminale su ogni settore economicamente apprezzabile insistente nel “loro” territorio – hanno esercitato l’influenza della ‘ndrina anche per condizionare la vendita di uova». Ve n’è traccia nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giovanni Riggio che, interrogato nel 1994, raccontò di come Pietro Labate avesse indicato un’azienda a lui vicina quale unica legittimata a esercitare quel tipo di vendita nel quartiere di Gebbione: «Tale vendita è frutto di imposizioni alla quali i commercianti non possono sottrarsi, pena ritorsioni».
Un business portato avanti dal rampollo del clan, Paolo Labate (cl.’85), che a partire dal 2020 aveva intrapreso (inizialmente in nero), un’attività di vendita e distribuzione di prodotti (uova, salumi, insaccati e affini) ad una rete di clienti ricadenti, nella maggior parte dei casi, nell’area territoriale egemonizzata dalla cosca. In tale solco, il 40enne – scrive il gip – sfruttava il timore diffuso che presso i commercianti del quartiere Gebbione il suo nome era in grado di suscitare, tale che persino il padre Michele si mostrava preoccupato delle possibili conseguenze: «Ci fa arrestare tutti per due uova».
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