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la ricostruzione

‘Ndrangheta, la caccia a Rocco Barbaro: la rete del silenzio e l’ultima corsa del «re di Platì»

La storica cattura di “U Sparitu”, figlio di “Cicciu u Castanu”. La “profezia” del pentito Domenico Agresta: «Sarà a Platì dove nessuno lo tradirebbe. Al Nord sarebbe un punto rosso su un muro bianco»

Pubblicato il: 30/05/2025 – 10:39
di Giorgio Curcio
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‘Ndrangheta, la caccia a Rocco Barbaro: la rete del silenzio e l’ultima corsa del «re di Platì»

MILANO Un paese intero attirato da un evento eccezionale. Tutti davanti ad un’abitazione, quella che poi si scoprirà appartenere alle figlie di un grosso esponente di ‘ndrangheta. Facce attonite e bocche ammutolite, gli occhi per osservare – quasi da spettatori disinteressati, ma solo in apparenza – quanto stava avvenendo. È l’8 maggio 2017 e a fermarsi quasi come sospesa è stata la comunità di Platì, feudo e roccaforte non di un uomo qualunque, ma di Barbaro. “U Sparitu”, classe 1965, fu sorpreso a tavola con la madre, la moglie, la sorella e i sei nipotini, catturato dai Carabinieri del gruppo di Locri dopo una rocambolesca quanto inutile fuga sui tetti. Quello che fu definito poi un esemplare impiego di un dispositivo d’intervento ed una pianificata azione militare.  

Le rete di protezione

Gli inquirenti della Dda di Reggio Calabria hanno ricostruito quella che era la rete di “protezione” che ha garantito la latitanza di un pezzo grosso della ‘ndrangheta calabrese trapiantata al Nord. Vent’anni di indagini hanno accertato – ormai senza alcun dubbio – il ruolo egemone delle ‘ndrine di Platì con a capo quella dei Barbaro “Castanu”, cosca leader riconosciuta nelle principali e più importanti piazze di spaccio nazionali di sostanze stupefacenti, tra Roma, Milano e Torino. E, proprio in questo contesto, era emersa la figura di Rocco Barbaro il cui soprannome “U sparitu” non è affatto casuale. Il 60enne, li compirà tra un mese esatto, considerato esponente apicale della cosca, infatti, è stato latitante per due volte per oltre dieci anni, e per questo inserito – all’epoca – anche nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi stilato dal Ministero dell’Interno.

Il profilo

Un’appartenenza alla ‘ndrangheta marchiata a fuoco quella di Rocco Barbaro. Il padre, infatti, è Francesco detto “Ciccio u Castanu”, morto nel 2018, considerato il “re dei sequestri” e riconosciuto colpevole dell’omicidio del Brigadiere dei Carabinieri, Antonino Marino. Il cognato è, invece, Giuseppe Pelle (cl. ’60), boss della ‘ndrina “Pelle-Gambazza” attiva a San Luca. Il ritratto di Rocco Barbaro è quello di un uomo «dall’indole aggressiva, violenta e dalla naturale tendenza a commettere reati». Negli anni della sua giovinezza, trascorsi a costruire l’immagine di un boss potente, Rocco Barbaro si è creato una certa fama grazie alle attività criminali. Gli inquirenti lo definiscono, senza giri di parole, «un uomo senza scrupoli e dalla personalità forte ed incontrastata al quale qualsiasi appartenente alle cosche di ‘ndrangheta platiesi non può opporsi o sottrarsi».

La “previsione” di Agresta

È c’è stato chi, addirittura, pochi mesi prima della sua rocambolesca cattura, aveva azzardato previsioni. «Potrebbe avere appoggi a Volpiano da mio zio Antonio e da Totò Agresta e dalla mia famiglia Agresta, in genere, dai Perre anche. Secondo me, ma è una mia deduzione, si nasconde a Piatì, dove la sua famiglia non lo tradirebbe. In genere i latitanti di Platì sono lì, rimangono lì». La profetica intuizione risalente a ben tre mesi prima – è l’8 febbraio del 2017 – fu all’epoca il collaboratore di giustizia Domenico Agresta, il giovane “Micu Mc Donald”. «Qui al nord sarebbe come un puntino tosso su un muro bianco. A Platì è il suo ambiente ed è protetto».  

La figura di Giuseppe Grillo “il cinghiale”

Le indagini avevano permesso di accertare come la sua latitanza fosse stata gestita principalmente da Giuseppe Grillo (cl. ’74) detto “il cinghiale”, finito in manette nell’operazione “Millennium” della Dda di Reggio Calabria. Secondo gli inquirenti, infatti, sarebbe stato lui a «gestire e coordinare gli altri correi nel funzionamento del complicato meccanismo di tutela del latitante». Intercettate oltre 110 utenze telefoniche in uso ai familiari e ai soggetti ritenuti favoreggiatori, ma anche diverse auto usate dai presunti fiancheggiatori e riprese video della zona di residenza del ricercato nonché centro di ipotetiche attività illecite da questi messe in atto. Materiale accusatorio utile alla localizzazione e alla cattura di Barbaro, arricchito dalle conversazioni e comunicazioni fra presenti e il servizio di radiolocalizzazione satellitare integrato, avvenute a bordo dell’autovettura Fiat 500X intestata alla nipote del latitante.  

Le intercettazioni in auto

In una delle tante intercettazioni, ad esempio, Francesco Perre (cl. ’78), raggiunto anche lui da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, chiede a Giuseppe Grillo: «Domani a chi tocca?». Per gli inquirenti il senso di questa domanda è da intendersi nel sapere quale soggetto dovrà occuparsi del latitante, concezione questa che viene subito avvalorata dalle altre parole pronunciate da Perre: «È lui che scombussola tutto», e ancora Grillo: «Praticamente quando è qua salta tutto!». Per gli inquirenti, dunque, l’analisi letterale e deduttiva del dialogo intercettato, permette di attribuire a Giuseppe Grillo «delle precise condotte delittuose relative alla gestione del cognato latitante».
Gli inquirenti sono riusciti anche ad intercettare una conversazione tra Grillo e il cognato latitante, Rocco Barbaro. È il 4 marzo 2017 quando quest’ultimo, a bordo della Fiat 500X chiede: «(…) che dici, mi abbasso?». E Grillo replica: «(…) vuoi abbassarti? Passa piano piano… La giacca? Non ce l’hai la giacca?». Grillo, dunque, era l’autista del veicolo, da solo con il latitante. Per gli inquirenti, quindi, era il primo soggetto ad esporsi «direttamente per tutelare il ricercato, nel rispetto delle tradizioni ‘ndranghetistiche per eccellenza», conscio ovviamente dei rischi connessi a tale sua opera.
Per gli inquirenti questa conversazione altro non è che il preludio dell’impianto investigativo che premierà l’impegno e lo sforzo profuso per la ricerca e cattura del latitante. Così il consiglio di “abbassarsi” e di indossare una “giacca” rappresenterebbe senza ombra di dubbio il «dover seguite delle precise direttive e modalità necessarie a occultare la corpulenza di Rocco Barbaro», osservano gli inquirenti.  

Il preludio della cattura

La documentazione cronologica dell’attività investigativa porta fino al 7 maggio 2017. Gli inquirenti immortalano Giuseppe Grillo a bordo del veicolo monitorato nei pressi del portone d’ingresso dello stabile delle abitazioni delle figlie del latitante, Rocco Barbaro, sceso dal lato posteriore del veicolo. Poco dopo Grillo si rimette alla guida del veicolo per riprendere la marcia. È in questo frangente che gli inquirenti riconoscono ormai senza alcun dubbio Rocco Barbaro “U sparitu” scendere dall’auto e guadagnare, acquattato, velocemente l’ingresso dello stabile. La prova inconfutabile dell’attendibilità delle intuizioni investigative dei Carabinieri. Le congetture ipotizzate, infatti, troveranno conferma e riscontro con l’arresto del ricercato avvenuto l’8 maggio 2017. Il resto è storia. (g.curcio@corrierecal.it)

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