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la storia criminale

Pino Piromalli e la svolta storica della ‘ndrangheta: dalla «commissione» sulle stragi al «gotha dei boss»

Torna in carcere, a 80 anni, lo storico boss di Gioia Tauro. È tra i protagonisti della storia criminale degli ultimi decenni

Pubblicato il: 23/09/2025 – 10:29
di Giorgio Curcio
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Pino Piromalli e la svolta storica della ‘ndrangheta: dalla «commissione» sulle stragi al «gotha dei boss»

REGGIO CALABRIA Una lunghissima e travagliata carriere criminale e un nome di peso assoluto nella ‘ndrangheta calabrese: Pino Piromalli (cl. ’45) alias “Facciazza” o “lo sfregiato”. Il suo nome fa parte anche di una ristretta cerchia di coloro i quali parteciparono alla stagione “stragista” ideata da Cosa nostra in Sicilia, nel tentativo di coinvolgere anche la ‘ndrangheta calabrese.

La “commissione” calabrese

Le ultime inchieste, su tutte “Hybris”, hanno fatto emergere proprio la figura dello storico boss. A tirarlo in mezzo era stato Francesco Adornato detto “Ciccio u biondu”, condannato in via definitiva per mafia negli anni ’90. «Pino Piromalli aveva composto la “commissione” costituitasi per decidere se la ‘Ndrangheta calabrese avrebbe dovuto partecipare o meno alle stragi di Stato attuate dalla mafia siciliana» nel corso della quale il boss votò attraverso Nino Pesce detto “Testuni” a favore delle stragi. Nell’intercettazione finita agli atti Adornato raccontò che «la commissione si era riunita presso il resort “Sayonara” a Nicotera e che era presente Pesce ed era assente Pino Piromalli ma che quest’ultimo aveva conferito a Pesce il mandato a rappresentarlo». Sempre nella stessa conversazione, il 74enne ha spiegato che «Pesce, in proprio ed in nome e per conto di Piromalli, aveva votato a favore della partecipazione alle stragi anche da parte della ‘ndrangheta».  

Il “gotha” della ‘ndrangheta

In realtà furono tanti i collaboratori di giustizia che, nel corso del processo “’ndrangheta stragista”, raccontarono dei rapporti di Pino “Facciazza” Piromalli con esponenti di Cosa nostra. Come Giuseppe Di Giacomo – soggetto al vertice della famiglia catanese dei Laudani nel periodo 92-93 e condannato quale mandante della strage alla caserma dei Carabinieri di Gravina di Catania – il quale, secondo la Dda di Reggio Calabria, avrebbe offerto elementi probatori di rilievo, non solo in ordine ai rapporti tra ‘Ndrangheta e Cosa Nostra, ma anche sulle rispettive componenti, «individuando un direttorio di ‘ndrangheta o Cupola paragonabile a quella di Cosa Nostra». Il collaboratore aveva definito questo direttorio il “Ghota” in quanto composto dai capi bastone della ‘ndrangheta con la carica di capo crimine e vi ha ricompreso sette soggetti: Franco Coco Trovato, Pino Piromalli “Facciazza” (nipote del vecchio boss Giuseppe Piromalli), Luigi Mancuso, Giuseppe De Stefano, uno dei Pesce detto “Testuni”, Pasquale Condello “Il Supremo” e un componente della famiglia Bellocco. «Questo era un gotha, diciamo, il livello più supremo di tutte le consorterie diciamo della ‘ndrangheta…».

Il summit al “Sayonara”

È l’estate del 1991 quando gli esponenti siciliani di Cosa Nostra e quelli calabresi della ‘Ndrangheta si incontrano, scegliendo come teatri alcuni dei villaggi e centri turistici più in voga di quegli anni. Perché, se è vero che nel luglio del 1992 al “Sayonara” di Nicotera Marina andrà in scena uno dei summit più significativi nel resort in mano ai Mancuso di Limbadi, 12 mesi prima un altro incontro importante era già avvenuto. Lo scenario è ancora la Calabria e, ancora, un centro turistico del Vibonese. Se per il “Sayonara” a fornire elementi cruciali era stato il pentito Franco Pino, tra i massimi esponenti della ‘ndrangheta cosentina, a parlare dell’incontro del 1991 e a fornire elementi chiave è stato il collaboratore di giustizia Antonino Fiume, le cui dichiarazioni sono finite nelle centinaia di pagine delle motivazioni del processo d’appello “’ndrangheta stragista”, nato dall’inchiesta della Dda di Reggio Calabria.

Le dichiarazioni di Fiume

Il collaboratore, infatti, ha collocato temporalmente l’inizio delle riunioni in cui si discuteva di stragi poco prima dell’omicidio del giudice Antonino Scopelliti (agosto 1991) e dopo l’Addaura (giugno 1989), dunque in piena seconda guerra di mafia, «precisando che c’erano già le trattative per la fine della guerra di mafia avviate prima dell’omicidio Scopelliti». Fiume ha spiegato, ad esempio di aver dormito per un mese in contrada Badia, a Limbadi, nell’agosto del 1991. Segno della grande importanza per il futuro tanto della criminalità organizzata siciliana quanto quella calabrese. «(…) perché non è stata una riunione di un’ora… sono state coinvolte gente di Crotone, di Cosenza, c’erano tutti i capi di clan di tutte le famiglie, e per fare questa cosa qua, diciamo, il garante per certi aspetti era Luigi Mancuso, “zio Luigi” lo chiamavamo». Sempre secondo Fiume «però, prima c’era stata, come dire, una stretta stretta tra i capi, Franco Coco Trovato, Giuseppe De Stefano, Pino Piromalli e Nino “testuni”, Antonio Schettini, che poi collaborerà, e c’era Natale degli Ascione, prima era stata una cosa più ristretta…».

Res Tauro

Storie di un’epoca che sembra ormai remota, una pagina di ‘ndrangheta archiviata ma che, invece, è tornata oggi di strettissima attualità. Pino Piromalli era stato scarcerato nel 2021, dopo aver scontato 22 anni di carcere in regime di 41 bis, tra i più duri previsti dall’ordinamento penitenziario italiano. Oggi per lo storico boss di 80 anni, si sono riaperte le porte del carcere. (g.curcio@corrierecal.it)

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