REGGIO CALABRIA Fin dal primo momento non erano stati molti a credere che potesse trattarsi di un incidente. E così, dallo scorso 26 maggio, dopo l’approdo delle forze dell’ordine nel quartiere Archi, punto nevralgico delle attività del “mandamento Centro” di Reggio Calabria, l’attività di indagine è stata incessante.
Intorno alle 11, in via Croce Cimitero era stato investito Giorgio Benestare detto “Franco”, riconosciuto dagli inquirenti quale «esponente di spicco della cosca “De Stefano-Tegano”».
Come riporta la Pg, l’uomo è noto per essere il nipote dei fratelli Giovanni e Pasquale Tegano, rispettivamente classe 39 e 55, che scontano entrambi pesanti condanne (ergastolo il primo, 30 anni il secondo) anche per associazione mafiosa. Stessa condanna inflitta al cognato, Orazio Maria Carmelo De Stefano, classe 59.
Il collaboratore di giustizia Maurizio De Carlo, lo aveva descritto come «l’attuale dirigente del casato di ‘ndrangheta arcoto che, nello specifico, trae forza dalla capacità evocativa derivante dalla cosca Tegano».
La Fiat Doblò – che si scoprirà essere rubata – che lo aveva colpito, si era eclissata senza prestare soccorso, lasciando traccia solo nei circuiti di videosorveglianza di alcuni privati della zona. La dinamica «lasciava ragionevolmente ipotizzare che si fosse trattato non di un accadimento accidentale ma di un investimento volontario».
L’uomo viene subito portato in codice rosso al pronto soccorso dell’ospedale di Reggio. Ma sarà nel reparto di Terapia Intensiva che verrà escusso a sommarie informazioni dal sostituto procuratore della Dda di Reggio, Stefano Musolino, titolare delle indagini insieme al collega Walter Ignazitto.
Dopo aver accertato la dinamica, gli inquirenti ricostruiscono le fasi precedenti all’investimento. Poco più di 20 minuti prima del fatto, mentre Benestare percorreva a piedi la statale 18 direzione Gallico, i due presunti responsabili vengono immortalati a bordo di un ciclomotore nella zona prossima a via Croce Cimitero. Si riesce così a risalire alla loro identità. Il primo è Emilio Molinetti. Insieme a lui c’è Marco Geria, entrambi classe 90.
Emilio è il figlio di Luigi Molinetti detto “Gino”, classe 64, arrestato in “Malefix” insieme agli altri due figli Giuseppe Salvatore e Alfonso. “Gino” è accusato di essere «dirigente e organizzatore dell’articolazione della ‘ndrangheta riferibile al territorio di Archi che aveva riunificato, intorno alla cosca De Stefano, più gruppi storicamente ivi operanti». Sempre da quell’inchiesta era emerso come Luigi Molinetti si fosse fatto «promotore di un sottogruppo operativo, animato da spinte scissioniste per ottenere maggiore autonomia ed il controllo mafioso del territorio di Gallico». Motivo in più che potrebbe far ipotizzare a possibili malumori e divisioni dietro al tentato omicidio di Benestare.
Scrive il gip Valerio Trovato condividendo le argomentazioni della procura (e applicando a entrambi i presunti responsabili la misura della custodia in carcere): «È ragionevole ritenere che l’attentato nei confronti dello storico esponente della consorteria Tegano (federata ai De Stefano) rappresenti un atto posto in essere da Molinetti e Geria per staccarsi dallo storico governo dei “De Stefano-Tegano” e poter così liberamente agire sul territorio in ordine alla gestione degli affari illeciti portando avanti il disegno del gruppo Molinetti».
I movimenti dei due sono minuziosamente ricostruiti dagli inquirenti secondo cui, alla base dell’investimento di Benestare ci sarebbe stata «una meticolosa programmazione» che comprende anche le fasi successive al fatto. Diversamente «la fase di preparazione scontava una serie di incertezze non puntualmente programmabili, connesse all’individuazione della vittima ed alla sussistenza delle condizioni di isolamento migliori per poter agire».
Circa un’ora dopo il fatto, il Fiat Doblò che aveva investito il ritenuto esponente delle cosche di Archi viene visto transitare verso il greto del Torrente Scaccioti, dove verrà ritrovato il giorno dopo il fatto, completamente incendiato. La Pg fin da subito aveva lasciato intendere la possibilità che si trattasse dello stesso mezzo. E infatti, nelle vicinanze, benché annerite, vengono ritrovate le due targhe.
Tutti elementi che rientrano nelle conclusioni degli inquirenti secondo cui non soltanto il fatto è chiaramente di natura intenzionale, ma «il piano per investire e uccidere Giorgio Benestare è stato preordinato e programmato» come si evince anche dai movimenti «tipici di un appostamento» che lo hanno preceduto.
«Non posso che ringraziare i colleghi della Direzione distrettuale antimafia che, sin dal primo momento sono intervenuti sul luogo dell’incidente, e gli investigatori della squadra mobile di Reggio Calabria, che ne avevano sollecitato l’intervento immediato proprio in ragione della particolare natura di quanto si era appena verificato, per la professionalità dimostrata nell’interpretazione dei fatti e delle dinamiche avessi sottese». È il commento del procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri. Secondo il magistrato, «le indagini della squadra mobile, diretta da questa Dda, subito avviate con la tempestiva raccolta le analisi delle immagini dei sistemi di videosorveglianza presenti su tutta l’area interessata agli eventi, hanno consentito, nonostante le difficoltà ambientali, di giungere nel giro di pochissimo tempo a questo importantissimo risultato investigativo circa i reali responsabili del tentato omicidio. Il risultato, ottenuto così tempestivamente, dimostra, ancora una volta, la professionalità della polizia giudiziaria e la grande attenzione alle dinamiche criminali del territorio emergenti dalle investigazioni delegati da questa Direzione distrettuale antimafia». (redazione@corrierecal.it)
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