REGGIO CALABRIA La Dda di Reggio Calabria non ha dubbi: “Frank Sinatra” sarebbe un prestanome di Antonio Piromalli, figlio di Giuseppe detto “Facciazza”. E ne curerebbe da anni, secondo le logiche della holding mafiosa con “sede sociale” nella Piana di Gioia Tauro, gli interessi negli Stati Uniti. Dietro il soprannome si nasconde, stando a una delle intercettazioni riportate nel decreto di sequestro da un milione di euro eseguito nei giorni scorsi, Rosario Vizzari, «referente oltreoceano della cosca, con il compito di allocare la merce (prodotti ortofrutticoli e olio, ndr) nelle catene della grande distribuzione».
Vizzari, mai destinatario di misure cautelari, è «nato e cresciuto in Calabria», ma è «emigrato nel 1991, a soli 23 anni, negli Stati Uniti per stabilirsi in New Jersey, precisamente nella contea di Bergen ove settant’anni prima si erano trasferiti i Laruffa, nipoti di Girolamo Piromalli». Per l’accusa si sarebbe prestato con le sue società al proposito del clan calabrese: mettere a segno una frode alimentare. Le grandi catene di distribuzione americana avrebbero acquistato olio di sansa spacciato per olio extravergine d’oliva. La testa della filiera sarebbe stata Piromalli, il supporto logistico si sarebbe concretizzato Milano, grazie a una ditta che riusciva a spedire diversi container dal porto di Gioia Tauro contenenti una miscela di olio di sansa d’oliva che poi, prima di finire sugli scaffali dei supermercati, veniva etichettata come olio extravergine d’oliva.
L’ipotesi investigativa è contenuta nell’inchiesta “Provvidenza”, il cui processo con rito abbreviato ha portato alla condanna di Antonio Piromalli. Le successive indagini patrimoniali hanno portato alla richiesta di sequestro anche per le società statunitensi. Gli Usa, però, hanno atteso venti mesi prima di rispondere alla richiesta di applicare i sigilli alla “Global Freight Service Inc”, alla “Madoro Usa Inc” a alla “Linro Inc”. E poi hanno negato la confisca, «azione straordinaria» che considerano non giustificata per via delle «limitate informazioni fornite relativamente alle società e al collegamento tra le società e i reati». Gli atti del procedimento forniscono una ricostruzione che non si ferma ai rapporti tra Vizzari e i Piromalli, ma illumina l’insediamento del clan negli Stati Uniti, proprio a partire dalla conversazione tra Vincenzo Bagalà, cugino di Vizzari, e Rocco Cugnetta, «mandato in America dai “cristiani di qua”», appuntano gli inquirenti, secondo i quali questo sarebbe «un chiaro riferimento ai Piromalli».
Che la cosca pensasse in grande è, per la Dda, chiaro fin dai tempi dell’inchiesta “Cent’anni di storia”. Il “capo” avrebbe avuto in mente già dal 2007 di estendere il business dei prodotti agrumicoli oltreoceano. Da un contatto telefonico del 27 novembre emergerebbe come Rosario Vizzari «fosse aperto a qualsiasi iniziativa spaziando dal cemento all’olio di palma, dalla plastica riciclata ai prodotti farmaceutici, dall’oro agli agrumi fino a quella più fantasiosa del commercio di petrolio crudo, attestando il proprio totale asservimento ai desiderata di Antonio Piromalli». È da questo primo step investigativo che gli investigatori si muovono per «inquadrare con maggiore precisione le attività intraprese» dal gruppo. L’Ufficio Intelligence dell’Agenzia delle dogane e dei Monopoli in una nota del maggio 2010 segnala che «la ditta individuale di Antonio Piromalli risultava avere esportato verso l’Estero, negli anni 2007 e 2008, ben 3.328.519 chilogrammi di merce, con valore statistico di 1.282.550 euro, mediante 178 operazioni», dirette verso due imprese statunitensi, uno delle quali aveva la sede nello stesso indirizzo della “Madoro Usa Inc.”, società di Vizzari per la quale era stato chiesto il sequestro.
È lo stesso Vizzari, secondo i magistrati antimafia di Reggio Calabria, «a ricostruire e precisare la genesi e l’evoluzione della cointeressenza economia con i Piromalli (…) nel corso di una lunga interview con l’Fbi», il Federal Bureau of investigation investito dello spezzone dell’inchiesta sul suolo statunitense. Gli atti inviati dal dipartimento della Giustizia statunitense fanno emergere «il percorso imprenditoriale di Rosario Vizzari negli Stati Uniti, contestualizzandolo in uno spaccato criminal-imprenditoriale di contiguità con la famiglia Gambino di New York», un tempo una delle compagini mafiose più potenti degli Usa.
Il sequestro
Le mani della cosca Piromalli sulla filiera agricola. Sequestri per un milione
Il primo faccia a faccia con gli uomini del Bureau è del 2017. In quell’occasione, Vizzari racconta i suoi esordi come imprenditore Oltreoceano. Inizia da prima, in realtà, quando specifica «di conoscere Antonio Piromalli da anni», visto che i due sono cresciuti insieme a Gioia Tauro, «ma di non aver condiviso le cerchie di amicizia e non essere stato sorpreso dall’arresto di Piromalli». Poi passa all’avvio della propria carriera negli Stati Uniti e precisa che, dopo essere uscito dal college, «era stato assunto dalla “Freight Brokers International Inc.” dei fratelli Frank e Michael Molfetta». Col tempo, è la sintesi dei pm, Vizzari scala «le gerarchie aziendali del gruppo Molfetta, aprendo nel 1998 una propria compagnia, la “Linro Inc.”, con cui iniziava a distribuire pasta e verdura verso compagnie come “Marshall’s” e “Tj Maxx”». Sui fratelli Molfetta, l’Fbi fornisce «una serie di interessanti spunti investigativi»: spiega che Francis “Frank” Molfetta, «datore di lavoro e successivamente socio di Vizzari, vantava legami con la famiglia “Gambino”, in quanto era stato arrestato nel 2004 per aver reso falsa testimonianza, mutando repentinamente la propria versione dei fatti in merito a dei pagamenti effettuati in favore di Sonny Ciccone, soldato dei “Gambino” e responsabile del controllo dei waterfront di Brooklyn e Staten Island tramite la direzione occulta dei “locals” 1 e 1814 dell’Ila (Internationa Longshoremen’s Association), la labour union (il sindacato, ndr) degli operatori portuali, cui aveva pagato delle somme per poter operare con i propri camion nel terminal portuale di Staten Island». La “Freight Brokers International Inc.” appare anche per aver versato 166 assegni alla “Edge Brokerage Inc.”, società ricondotta al figlio di un capo della famiglia Gambino.
Nel 2007, invece, Vizzari entra in rapporti commerciali con Antonio Piromalli, con cui avvia «un programma imprenditoriale per importare arance negli Stati Uniti». Lo fa sempre attraverso la ditta di proprietà dell’uomo considerato vicino ai Gambino, che nel frattempo ha mutato il nome in “Freight Brokers Global”, secondo quanto risulta nei documenti inviati dall’Fbi. L’occasione nasce da una gelata avvenuta in California «che aveva colpito la produzione e la vendita di arance negli Stati Uniti, motivo per il quale sarebbe stato proficuo vendere nel mercato americano le arance di Piromalli, proprietario di terreni ed in grado di acquistarne altre dai produttori locali». Piromalli, per vendere le proprie arance alla catena di supermercati “Costco Wholesale”, avrebbe costituito la “Aaap Usa Corp”, società che «risulta ancora attiva e condivide la medesima sede legale della “Maduro Usa Inc.”». Per i magistrati reggini, «nel progetto imprenditoriale venivano coinvolti Michael Molfetta e suo figlio, anch’egli di nome Michael». Il quadro dell’operazione, in sostanza, crea un collegamento tra il casato mafioso di Gioia Tauro e un’impresa i cui titolari sarebbero, secondo l’Fbi, in qualche modo vicini alla famiglia Gambino. L’affare, in realtà, non procede come le parti si augurano: la merce, all’arrivo negli Stati Uniti, non si presenta in buone condizioni. Colpa dell’impianto di refrigerazione, il cui malfunzionamento rovina la frutta e non ne permette la vendita. Vizzari perde gran parte del denaro investito; poi, arriva l’arresto di Piromalli: i contatti tra i due cessano durante l’intera detenzione del capo cosca.
Piromalli viene arrestato nel luglio 2008 all’aeroporto di Milano, dove era appena atterrato da un viaggio negli Stati Uniti. In effetti, «le attività di monitoraggio condotte dall’Fbi consentivano di registrare nel luglio 2008, un importante incontro di affari tra Antonio Piromalli, Rosario Vizzari e Joe Chirico, inteso “Marco Polo” o “Frankie the Boob”, indicato da una fonte dell’Fbi come soldato della famiglia “Gambino” e titolare del ristorante “Marco Polo” di Brooklyn, oggetto nel marzo 2018 di un danneggiamento a colpi d’arma da fuoco». Sono altri (presunti) incroci tra pezzi di criminalità organizzata attivi in due continenti. Lo stesso Chirico, aggiungono i magistrati sempre sulla scorta delle note dei federali, «risultava inoltre coinvolto in un traffico di stupefacenti che interessava la ‘ndrangheta e la famiglia “Gambino”».
Il connubio Molfetta-Vizzari si ripropone dopo gli arresti dell’operazione Provvidenza, quando il gruppo apre a Milano la “Freight Brokers Italia”. Non è l’unica società avviata da Vizzari in quel periodo: c’è anche la “Global Freight Services Inc.”, «che fino al 2007 o 2009 era solamente “attiva sulla carta”, entrando in azione una volta che Vizzari era uscito dalla “Freight Brokers”». In questo giro di società dell’import-export sull’asse Italia-Stati Uniti, sulla sponda italiana l’imprenditore cresciuto a Gioia Tauro trova un socio «che aveva lo stesso cognome di Piromalli ma non era appartenente alla famiglia, elemento in realtà – è una sottolineatura degli inquirenti – non completamente veritiero giacché il fondatore della “Global Freight Services srl” è cugino dei noti fratelli Pisano, indagati nell’ambito dell’indagine “Metauros” in quanto gerenti per conto dei “Piromalli” del termovalorizzatore di Gioia Tauro».
Dopo la scarcerazione del boss (nel dicembre 2014), i contatti Piromalli-Vizzari riprendono. È attorno a questa nuova fase – inserita nella truffa internazionale dell’olio di sansa – che ruota la restante parte della chiacchierata di “Frank Sinatra” con gli uomini del Bureau. Ciò che la Dda di Reggio Calabria sottolinea è che i rapporti tra i due «siano assolutamente risalenti nel tempo». Già nel 2007, «erano in contatto ed in grado di approntare un progetto imprenditoriale assolutamente ramificato e diversificato, finalizzato al reinvestmento dei proventi illeciti della cosca in settori apparentemente scevri e avulsi dal contesto ‘ndranghetistico. In realtà, le dinamiche disvelate nei due procedimenti sopra indicati, per come implementate dalle risultanze trasmesse dall’Fbi, testimoniano come si trattasse di imprenditoria a marchio mafioso sin dalla scelta dei partner commerciali, delle imprese strumentali, delle vie per eludere l’applicazione delle normativa in tema fiscale e di riciclaggio».
I magistrati reggini evidenziano inoltre che, «diversamente da quanto riferito da Vizzari, lo spartiacque segnato dai sette anni di carcerazione del Piromalli non ha certamente comportato l’interruzione delle cointeressenze con il boss, tanto che durante la forzata assenza di questi era la moglie Loredana Sciacca a intraprendere la via dell’America nel nome, per conto e nell’interesse del marito».
«Per un paio di anni se n’è andata in America», si legge in un’intercettazione del 2016 in cui parlano due familiari della donna. E il pentito Angelo Furfaro, nello stesso anno, «ha avuto modo di precisare come la moglie di Antonio Piromalli venne mandata per un periodo in America («avevano paura che i colloqui tra di loro fossero stati intercettati (…) e quindi per paura che la arrestassero l’hanno mandata in America, da Rosario Vizzari»).
Un legame strettissimo quello tra l’ex ragazzo «mandato dai cristiani di qua» negli Stati Uniti e il capo della potente cosca. Una «fidelizzazione» nel cui solco «vanno letti anche i costanti aggiornamenti sugli accessi ai magazzini (di proprietà di Vizzari negli Usa, ndr) da parte dell’Fbi». Informazioni preziose, come quelle «apprese da un funzionario federale che lo aveva avvertito dei retroscena legati alla cooperazione in atto con le autorità italiane». (p.petrasso@corrierecal.it)
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