Un dispositivo più piccolo della moneta da dieci centesimi serve a controllare la pressione polmonare di un giovane paziente che risiede in Calabria. L’hanno impiantato dei cardiologi dell’ospedale Niguarda di Milano, in modo, all’occorrenza, da rimodulare subito la terapia farmacologica a mille e passa chilometri di distanza. Il Corriere della Calabria ne ha dato notizia proprio nei giorni scorsi (leggi qui).
La tecnologia diventa sempre più piccola e utile. In questo caso aiuta a superare due grandi barriere del Servizio sanitario della Calabria: la diffusa lentezza e l’insufficiente integrazione tra ospedale e territorio. Stavolta, come spesso, ci pensa la Lombardia, che attira moltissimi pazienti calabresi, soprattutto cardiopatici.
Alla Calabria non resta nulla in situazioni del genere: né sul fronte delle prestazioni, e quindi del ritorno economico, né sul fronte dell’esperienza né sul fronte della formazione specifica. In compenso il sistema calabrese – è emerso anche questo – mostra efficienza elvetica su impulso della ’ndrangheta, come ha raccontato il collega Pablo Petrasso, sempre sul nostro Corriere della Calabria (leggi qui).
Il Piano di rientro dal disavanzo sanitario ha acuito i problemi organizzativi e gestionali. I due decreti Calabria, convertiti in legge, hanno aumentato l’instabilità nel governo delle nove aziende pubbliche della salute presenti nell’intero territorio regionale. Il nuovo commissario del governo, Roberto Occhiuto, sta riorganizzando il dipartimento Tutela della salute, si sta occupando dei bilanci aziendali e di altre questioni strutturali. Deve affrontare problemi di vecchia data, mettere mano a dossier molto complicati, anche in merito agli accreditamenti, con l’obiettivo di recuperare risorse, ridurre gli sprechi e avviare assunzioni e investimenti indispensabili. Ha, insomma, una missione difficile, delicata, pesante. Tuttavia, dice un osservatore che lo conosce bene, Occhiuto non demorde e non si lascia intimorire dai populismi.
Nelle aree interne della Calabria c’è forte preoccupazione per la tenuta e la sopravvivenza degli ospedali montani. A San Giovanni in Fiore c’è chi lamenta la mancata previsione di una Casa della comunità, mentre a Serra San Bruno sono preoccupati che questo tipo di struttura territoriale, inserita tra quelle da realizzare con le risorse del Pnrr, possa spingere verso la chiusura dell’ospedale montano del luogo. A Soveria Mannelli sono altrettanto perplessi e guardinghi. Abbiamo intervistato Alessandro Sirianni, componente del Comocal e del comitato civico per l’ospedale del Reventino, con cui abbiamo discusso del presente e del futuro degli ospedali montani, tema cui il deputato Francesco Sapia, della commissione Sanità, ha dedicato un’apposita interpellanza urgente alla quale ha risposto il sottosegretario alla Salute Andrea Costa, che ha promesso una visita in Calabria per rendersi conto di persona.
Sirianni, che cos’è il Comocal? Quando è nato? Quale ne è la missione? Esiste ancora?
L’acronimo è quanto mai esaustivo. È il Comitato Ospedali Montani Calabresi, che raggruppa alcuni dei comitati o comunque cittadini di Acri, San Giovanni in Fiore, Soveria Mannelli e Serra San Bruno. Il soggetto nasce quando al culmine di attacchi ripetuti in varie forme si ebbe la percezione che la sanità cambiava non ponendo le giuste attenzioni verso questi contesti socialmente deboli. La missione del Comocal è stata quella di porre in atto un dissenso verso ogni forma di depotenziamento della sanità pubblica nei nostri territori. La costituzione del soggetto fu sancita all’ufficio del registro con il suo assetto. Presentammo un ricorso al Tar soprattutto per salvaguardare la rapidità dell’emergenza sanitaria. Poi nel tempo organizzammo manifestazioni a Reggio Calabria sotto “L’astronave”, e nei comuni montani. Oggi l’azione ha perso sostanza e voglia, perché trovarsi costantemente di fronte a un muro genera un disarmo che non può essere colpevolizzato, anche se sembra che ultimamente ci sia un risveglio.
A Soveria Mannelli è previsto un Ospedale di Comunità. Ciò significa che prenderà il posto dell’attuale ospedale montano? Quali informazioni avete ricevuto? Come vi state organizzando in proposito?
Siamo stati veloci ad accorgerci di questo, così rapidi che un giorno dopo l’uscita del cronoprogramma dell’Agenas, che individuava un centinaio di strutture in cui allocare Ospedali di comunità, Case della salute e distaccamenti tecnici notammo che la sola struttura ospedaliera ad essere riconvertita era quella di Soveria Mannelli. Fu Rai Tre regionale a venirci incontro con una diretta, che infastidì persino i vertici regionali. Noi non potevamo subire tale decisione, che è ancora in atto. Questo significa cancellare l’ospedale vero, eliminare il pronto soccorso e trasformare l’intero presidio in Ospedale di comunità. Detto in due parole: una specie di casa di riposo con 60 cronici. Tramite esponenti del posto abbiamo interessato della questione la consigliera regionale Simona Loizzo, che ricopre l’incarico di segretario della commissione Sanità. La consigliera si è recata in ospedale in ospedale concludendo che si sarebbe messa di traverso verso una decisione del genere. Il fatto è stato portato all’attenzione del sub commissario Esposito presso la Cittadella. Tuttavia, non abbiamo avuto più notizie.
Come comitato del Reventino avevate contestato, con riguardo allo stesso presidio, la mancanza di personale e le dotazioni previste dalle norme vigenti. Poi come è andata a finire, è successo qualcosa a seguito della vostra battaglia?
È da sempre che contestiamo la mancanza di dotazioni, sia strumentali che umane. Esiste il capitolato di acquisto per una Tac che qui non è mai arrivata. Man mano che chiudevano i servizi, il personale veniva trasferito altrove, così come alcune attrezzature. Il gioco è sempre a discapito, mai il contrario. Le nostre battaglie non hanno mai stravolto la realtà, ma hanno avuto il merito di limitare gli “attacchi” inopportuni. Siamo sul fronte del dissenso da 15 lunghi anni. Un certo sconforto avrebbe fatto capitolare ogni resistenza, ma noi siamo ancora qui.
Ritiene che ci sia stata attenzione verso gli ospedali montani della Calabria? Che cosa è cambiato con la gestione del commissario Occhiuto?
Verso gli ospedali montani non c’è mai stata un’attenzione particolare, se non nelle norme contenute nel famoso decreto 18 del 2010, che ne hanno permesso una caratterizzazione e poi sono state mantenute nei successivi decreti commissariali. Restano solo i provvedimenti, ma non resta alcuna attenzione al rialzo. Sono strutture che annaspano tra decreti commissariali, Atti aziendali e provvedimenti di altra natura. È un miracolo se ancora esistono, come lo è l’esistenza di persone e gruppi che non sotterrano l’ascia di guerra. Spero che il commissario Occhiuto sciolga in nodo dell’Agenas per quanto riguarda Soveria Mannelli. Mi auguro che si ponga di traverso al “tavolo Adduce”, quando nella conferenza Stato-Regioni si definirà il quadro dell’assistenza sanitaria. Dare i voti a Occhiuto è ancora prematuro.
Vi preoccupano i nuovo standard ospedalieri, che dovrebbero essere approvati a breve e che non prevedono di aumentare le dotazioni degli ospedali montani?
Se fossero le dotazioni potremmo cantare vittoria, il problema sta nel fatto che vogliono cancellare gli ospedali montani nelle loro connotazioni, richiamandosi a norme riprese da decreti di altre regioni. Per lo Stato, i modelli dell’Emilia-Romagna o del Veneto possono essere applicati alla Calabria o alla Sardegna. È un concetto che nemmeno il più neofita tra gli amministratori metterebbe in atto, perché si accorgerebbe dell’enorme discrepanza. Credo e spero che qualcuno si faccia sentire nei territori, a partire dagli eletti. I comitati non possono ergersi a partigiani o a rivoluzionari da soli. Molti non ne hanno nemmeno più voglia: il tempo è una brutta bestia e scalfisce ogni durezza.
Quali sono le vostre proposte e richieste? Come dovrebbero essere attrezzati a vostro avviso gli ospedali montani della Calabria, tra cui quello di Soveria Mannelli?
Potrei essere banale, ma nemmeno troppo. Basterebbe mantenere in atto e rendere esecutivo il decreto commissariale numero 64 del 2016, anche rafforzandolo nei diversi atti aziendali, per quanto concerne le Asp di competenza. Bisognerebbe poi dotare gli ospedali montani di ambulatori specialistici, anche per alcuni giorni a settimana. Si dovrebbe erogare diagnostica radiologica, di Laboratorio analisi e altro. Sarebbe utile caratterizzare le strutture, innestando riabilitazioni cardiologiche, Fisioterapia e Week Surgery multidisciplinare.
Teme che nel medio-lungo periodo possa esserci addirittura la chiusura dei presidi ospedalieri montani?
Questo lo si teme dal 2007, da quando incominciarono a smantellarli gradualmente. Da allora c’è un declino inesorabile. Spesso hanno spogliato un santo per vestirne un altro, senza risultati. Mantenere i presìdi montani è un obbligo morale dello Stato, che ha avviato numerose iniziative sull’Italia “da conoscere e preservare”, cosa impossibile se togli i servizi di base ai territori. In gioco ci sono anche interessi che vanno al di là delle semplici considerazioni.
Sondalo è un comune montano lombardo di 4mila abitanti. Ha una Chirurgia generale, l’unità di Anestesia e Rianimazione, Ortopedia e persino la Brest Unit. Soveria Mannelli e gli altri comuni montani della Calabria non sono sempre in Italia?
Diranno che la sanità è di competenza regionale e che ogni regione si regola per come meglio crede. Soveria venti anni fa aveva un ospedale messo meglio di quello Sondalo. Facevamo il parto in acqua, eravamo avanti sull’artroscopia del ginocchio, avevamo una chirurgia interventistica ed erogavamo molti altri servizi. Che dire, che hanno ragione quanti dicono che le Regioni sono state la rovina della sanità e che sarebbe meglio che essa tornasse nelle mani dello Stato? Forse sì. Il debito accumulato non lascia spazio ad altri ragionamenti. Mi voglio collegare a questo per dire che nel 2007 l’ospedale di Soveria Mannelli era uno dei pochi ad avere un saldo attivo. C’è un piccolo manualetto che lo descrive in modo dettagliato, qualora dovesse servire.
Pensate, con Acri, Serra S, Bruno e San Giovanni in Fiore, di poter incidere nella rivalutazione degli ospedali montani della Calabria?
Facciamo due conti. Queste quattro realtà contano più di quarantamila abitanti, considerati i singoli Comuni. Se consideriamo anche i relativi comprensori, arriverebbero, invece, a sfiorare i centomila abitanti. La politica si interroga sui numeri.
Che cosa intende dire?
Se si facesse fronte comune, esprimendo rappresentanti autorevoli, soprattutto ai più alti livelli istituzionali, sarebbe un problema per la classe dirigente. Io ho provato più volte a sentire i comitati degli altri posti. Anche ultimamente, pare ci sia un rinato interesse. È quello che mi auguro.
Servirebbe una legge nazionale sulla montagna che preveda un’organizzazione più adeguata della sanità pubblica, specifica per le aree montane?
Sarebbe la cosa più opportuna da fare o finiremo per spopolarci. La sanità, oltre che giocare un ruolo indispensabile per la tutela della salute, determina anche un indotto economico. Accentuare le disparità non credo sia una buona soluzione. Poi nessuno pensa di tornare ai vecchi fasti. Organizzare in modo specifico la sanità montana non è solo un’idea, è un dovere a cui non si deve abdicare.
Vuole lanciare un appello per meglio tutelare la salute della comunità del suo territorio e quella degli altri territori montani della Calabria?
A Soveria Mannelli mi conoscono da anni e molti anziani a volte perdono il contegno quando mi parlano dei loro problemi. Qualcuno si è messo a piangere, non sapendo a che santo votarsi. Si scontrano con il muro delle inefficienze e dei ritardi abissali, anche per fare un’ecografia. Un certo Raffaele, un falegname, l’altro giorno mi ha fatto vedere la sua prenotazione per il mese di aprile del 2023. Vogliamo dare risposte a questi cittadini? Mi auguro che il commissario Occhiuto venga di persona a visitare questi presìdi montani, percorrendo le strade borboniche per arrivarci e chiacchierare con i primi che incontra, con i comitati e con gli amministratori comunali. (redazione@corrierecal.it)
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