CATANZARO C’era chi si occupava di trovargli da mangiare, chi gli consentiva di attaccassi abusivamente alla corrente elettrica, chi lo trasportava nel buio della notte e tra mille precauzioni perché il commando non doveva avere soluzione di continuità. Luigi Vecceloque Pereloque, alias “U Marocchino”, era riconosciuto da tutti come il capo del clan dei rom e il suo spessore criminale era talmente elevato che tutti gli sforzi dell’organizzazione erano concentrati su di lui, anche e soprattutto durante la latitanza. Un gruppo «compatto impegnato per proteggere la sua posizione e per garantirgli la massima assistenza». Dall’ordinanza del blitz con la quale la polizia coordinata dalla Dda di Catanzaro ha colpito il gruppo dei nomadi diventati una vera e propria cosca con tanto di “battesimo” delle storiche consorterie crotonesi emerge il profilo del capo, «esponente di vertice della ‘ndrangheta com’è emerso dall’operazione “Maniscalco” e dalle dichiarazioni della collaboratrice di giustizia Cerminara oltre che dai suoi strettissimi collegamenti con la cosca Arena», scrivono gli investigatori. Luigi Vecceloque Pereloque – riporta l’ordinanza – si rende irreperibile il 29 ottobre 2028 quando l’ufficio esecuzioni penali della Corte d’appello di Catanzaro emette a suo carico l’ordine di carcerazione per pesiate una pena di due anni e quasi 8 mesi per associazione mafiosa, estorsione,usura, ricettazione, armi, droga e pure danneggiamento a seguito di estorsione e furto.
Vecceloque – si legge poi – «è stato aiutato da soggetti facenti parte del suo clan mafioso e familiare in qualità di capo riconosciuto da tutti, cosa che gli ha consentito di proseguire la sua attività di direzione della cosca. In particolare, i contributi maggiormente significativi per la gestione della sua latitanza sono stati quelli di Bevacqua Ernesto e Paradiso Antonio, ma si registrano anche i contributi di Candiloro Rocco e di Amato Rita (moglie del latitante) e Vecceloque Pereloque Alessandra (figlia del latitante)». Ognuno aveva il suo compito preciso da assolvere: «Bevacqua – scrivono gli investigatori – ha aiutato il latitante per i suoi spostamenti, infatti in un’occasione lo ha accompagnato dal nascondiglio fino alla sua abitazione. Candiloro ha fornito supporto logistico aiutandolo a contattare i suoi familiari e a reperire cibo. La moglie e la figlia hanno fornito supporto logistico. Paradiso, imprenditore edile, residente in un villa ubicata di fronte al rifugio del latitante, ha consentito a quest’ultimo l’utilizzo di energia elettrica proveniente dalla sua proprietà». Negli spostamenti – ricostruiscono gli inquirenti – Bevacqua riceveva da Vecceloque Pereloque disposizioni sulla direzione della cosca, mentre Candiloro gli forniva anche il proprio telefono cellulare. A un certo punto per la polizia giudiziaria, che aveva seguito Candiloro, si profila anche la possibilità di arrestare il boss latitante e fa anche irruzione nello stabile dove c’era il covo (al pianoterra di un edificio in costruzione) ma Vecceloque Pereloque riesce a fuggire, riporta l’ordinanza. E poi il sostegno economico grazie ai membri del suo clan e alla moglie, «fino al 9 maggio 2019 quando Vecceloque si costituisce in carcere». (c. a.)
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