ROMA Regina Viarum, la definì il poeta Stazio nel I secolo dopo Cristo.
Ma anche insignis, nobilis, celeberrima: nelle fonti antiche si rintraccia già la valenza politica, economica, commerciale, sociale e religiosa che la Via Appia ha avuto nella storia. Oltre mille chilometri, da Roma a Brindisi, che hanno visto scorrere un flusso ininterrotto di persone, merci, idee, civiltà, file di pellegrini diretti in Terra Santa, condottieri pronti a salpare per il Mediterraneo, i ribelli insorti con Spartaco catturati e crocifissi lungo la strada fino a Capua.
Eccellente prototipo del sistema viario romano, ma anche e soprattutto crocevia di culture, la Via Appia entra ufficialmente nella lista del Patrimonio Mondiale dell’umanità, iscritta dal Comitato Unesco riunito a Nuova Delhi nella 46/a sessione: è il 60/o sito italiano, a consolidare il nostro primato. Un risultato frutto del lavoro di squadra – sottolineano dal ministero della Cultura, che per la prima volta ha promosso direttamente la candidatura – che ha coinvolto 4 Regioni (Lazio, Campania, Basilicata e Puglia), 13 Città metropolitane e Province, 74 Comuni, 14 Parchi, 25 Università, rappresentanze delle comunità territoriali, associazioni, nonché il ministero degli Esteri e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra della Santa Sede: l’Appia è la strada dove sorse la prima catacomba, fu percorsa da Paolo per arrivare Roma e poi da Pietro e fu una delle prime “viae peregrinorum”.
L’allora ministro (cosentino) dei Lavori pubblici, Giacomo Mancini, salvò la via Appia dall’aggressione degli speculatori edilizi. A ricordarlo è il figlio del leader socialista Pietro Mancini. Mancini, evidenzia, riuscì nell’impresa con il sostegno di grandi urbanisti, in primis Antonio Cederna, a salvare l’Appia Antica dall’aggressione degli speculatori edilizi e dei “palazzinari”, protetti dalle giunte Dc degli anni 60 e 70. (redazione@corrierecal.it)
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