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processo “factotum”

‘Ndrangheta a Carmagnola, chiesti 40 anni di carcere per la cellula piemontese

Nel processo in corso a Torino chiesti 12 anni per il boss Francesco D’Onofrio

Pubblicato il: 25/07/2025 – 14:03
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‘Ndrangheta a Carmagnola, chiesti 40 anni di carcere per la cellula piemontese

Si avvicina il verdetto nel processo che ha scoperchiato una delle più radicate infiltrazioni della ’ndrangheta in Piemonte. Al centro della scena c’è Francesco D’Onofrio, considerato dagli inquirenti il perno di un’organizzazione mafiosa che, sotto traccia, aveva esteso la sua influenza in diversi settori economici dell’area torinese. Per lui la Procura ha chiesto una condanna a 12 anni e 2 mesi di reclusione.
L’udienza del 24 luglio 2025 ha segnato la conclusione della requisitoria dei pubblici ministeri Paolo Toso, Marco Sanini e Mario Bendoni, che hanno tracciato un quadro accusatorio pesante: traffico illecito, estorsioni, usura e legami con il mondo imprenditoriale e persino sindacale.
Insieme a D’Onofrio, la Procura ha chiesto condanne anche per altri cinque imputati, ritenuti parte attiva del sodalizio: 10 anni per Domenico Ceravolo, 8 anni e 10 mesi per Claudio Russo, 8 anni e 4 mesi per Rocco Costa, e un aumento di pena a 3 anni e 8 mesi per Antonio Serratore, già condannato in un altro procedimento. Giacomo Lo Sturdo ha invece deciso di patteggiare.

Una rete criminale nella cintura torinese

L’indagine, denominata “Factotum”, è scattata all’alba del 24 settembre 2024, quando le Fiamme Gialle hanno eseguito gli arresti su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia di Torino, con il supporto operativo del Servizio centrale investigazioni criminalità organizzata. Le prove raccolte, attraverso intercettazioni, appostamenti e analisi finanziarie, hanno svelato un meccanismo ben rodato: aziende intestate a prestanome, “servizi” di protezione mascherati da consulenze, e intromissioni sistematiche nei rapporti tra lavoratori e imprese.
A Carmagnola, comune nel cuore della provincia, la presenza del gruppo era diventata così pervasiva da incidere anche sul mondo sindacale. Ceravolo, sindacalista del comparto edile, avrebbe avuto un ruolo chiave nel fare da cerniera tra la cosca e imprenditori coinvolti in attività borderline, alcuni già destinatari di misure antimafia. La sua sigla si è oggi costituita parte civile nel processo.

Il ruolo di D’Onofrio e la prossima sentenza

Secondo l’accusa, D’Onofrio – affiliato alla ’ndrangheta da oltre vent’anni – non solo coordinava le attività del gruppo, ma si occupava di alterare processi, organizzando false testimonianze per screditare un collaboratore di giustizia. In almeno un caso avrebbe estorto beni preziosi a una persona, sfruttando l’intimidazione legata alla sua appartenenza all’organizzazione.
Il processo, celebrato con rito abbreviato, riprenderà dopo la pausa estiva con gli interventi della difesa e delle parti civili. La sentenza è attesa per l’autunno e potrebbe rappresentare una tappa fondamentale nella strategia di contrasto alle infiltrazioni mafiose nel Nord Italia. (redazione@corrierecal.it)

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