Breve storia del clan Piromalli, un triumvirato di vecchietti continua la saga della mafia imprenditrice
Gli avvocati, la politica, il fronte del porto

GIOIA TAURO L’araldica geografica della ‘ndrangheta maggiore resta uguale commentando i 26 arresti dell’inchiesta “Res Tauro” che ha di nuovo aperto i riflettori della cronaca sull’antico clan egemone calabrese dei Piromalli.
Conduzione familiare come la trattoria di un locale storico. Ai vertici dell’organizzazione tre fratelli che portano i nomi dei loro predecessori con usanza da famiglia regnante: Gioacchino 91 anni, Antonio 86, il capo Pino detto “Facciazza” solo 80. Non c’è dubbio che anche la criminalità calabrese ha la dimensione anagrafica di un reparto geriatrico e forse la crisi delle nascite riguarda anche i clan, che al pari di altre famiglie calabresi hanno pure loro il problema dei giovani che la ‘ndrangheta globalizzata fa trasferire in altre parti del mondo.
E quando i giovani restano combinano casini nella casa madre. Pino Piromalli, dopo 22 anni al 41 bis uscito nel 2001, si era dovuto mettere a regolare affari e attività. Necessario il ritorno alle antiche regole. Tutto nelle mani del capo, a cominciare dal reperire prestanome che recuperassero beni sequestrati e investimenti per continuare a guadagnare denaro per i loro conti correnti.
Qualche mutamento antropologico è avvenuto a riascoltare l’intervista che don Pino “Facciazza” rilascia tre anni fa alle telecamere di Studio Aperto Mag sui recenti rapporti dei Piromalli con la politica: «Abbiamo votato per tutti, destra e centrosinistra. C’era l’elezione, qualcuno diceva a chi appoggiamo, a Tizio, Caio e Sempronio, quello mi sembra più meritevole. Abbiamo sempre appoggiato tutti. Non li abbiamo fatti vincere, li abbiamo solo appoggiati e siamo stati penalizzati, non porta bene». E adesso magari ci verranno a dire che anche il voto della ‘ndrangheta finisce nei delusi dell’astensione. Paradossi dell’articolista che è ben consapevole che le cosche hanno sempre candidati da sostenere che vanno al potere. Piuttosto è la conferma che i Piromalli sanno utilizzare i media per far arrivare i loro messaggi a chi di dovere. Nelle Teche Rai è visibile un reperto di valore storico. Siamo nel lontano 1977 e il grande cronista d’inchiesta Joe Marrazzo per Tg2 Dossier va ad intervistare il capo dell’epoca don Mommo Piromalli ricoverato in ospedale a Gioia Tauro con flebo al braccio e gamba malandata dentro al letto. Marrazzo incalza da par suo e don Mommo si schernisce, con la sua fisionomia da malato, perché è stato lontano da casa e nulla sa di stragi e affari. Mostra il suo carisma da patriarca e anche all’epoca con nonchalance banalizza il voto elettorale suggerito per avvisare chi di dovere. Tutti ricordano la celebre intervista dello stesso giornalista a don Raffaele Cutolo per la baldanza del creatore dell’innovativa Nuova Camorra Organizzata che ispira anche la canzone di De Andrè; nessuno conosce quella di don Mommo, fondatore della sconosciuta Santa con logge coperte di massomafia perché la ‘ndrangheta grazie a famiglie come i Piromalli è stata capace di immergersi in ombre impenetrabili che inizieranno a diradarsi solo sul finire del ‘900.
Memorabili a Gioia Tauro i funerali di Girolamo Piromalli detto Mommo avvenuti nel 1979 per morte naturale (era un buon risultato in quei tempi di guerre cruente) e che finiscono nelle pagine dell’ordinanza Olimpia della Dda alle pagine 378 e 379 tramandando a futura memoria che “i funerali che seguirono furono imponenti, assolutamente incuranti della presenza dei fotografi (delle forze dell’ordine) capi bastone e affiliati di tutte le consorterie calabresi resero l’estremo e dovuto omaggio al capo ormai privo di vita. A ringraziare in nome del casato Piromalli la moltitudine mafiosa presente intervenne in conclusione l’avvocato Armando Veneto noto professionista del foro di Palmi”. Riportiamo l’ultima notizia per fedeltà al documento citato ben sapendo che Armando Veneto non aveva alcuna collusione illegale ma essendo avvocato dello scomparso fu chiesto dai familiari di ringraziare i presenti a funerale finito secondo consuetudine locale. Nessuno immaginava che le informative degli investigatori trasformassero l’episodio in una vicenda mediatica controversa.
Ben altra sorte è toccata in queste ore ad altro illustre penalista calabrese, Giancarlo Pittelli, condannato in primo grado a 14 anni per concorso esterno proprio con il clan Piromalli nell’ambito del processo Malapigna e considerato una sorta di postino dei capi della cosca fuori e dentro il carcere. Pittelli si proclama innocente da ogni accusa. Va rilevato che i partiti in cui ha militato, Forza Italia e Fratelli d’Italia, prodighi di dichiarazioni soddisfatte per l’Operazioni Res Tauro, si sono ben guardate dal commentare la sentenza di Pittelli sia in senso garantista che autocritico e uguale atteggiamento ha avuto lo schieramento avverso. Nessuno si è voluto sporcare le mani con la vicenda.
Ben altro clima negli anni Novanta, ai tempi dell’inchiesta Porto, quando i Piromalli (sempre loro) e i loro alleati avevano imposto il pizzo di un dollaro e mezzo per ogni container, e il parlamentare Domenico Bova, dei Democratici di Sinistra, membro della Commissione parlamentare antimafia tuonava sulle agenzie “quanto giusto fosse l’allarme lanciato sulle infiltrazioni mafiose volte al controllo del mercato del lavoro in quell’area”. E rispondeva da destra l’indomita Angela Napoli di Alleanza Nazionale apostrofando l’ex sottosegretario ai trasporti Ds Pino Soriero, diventato poi presidente del coordinamento dello sviluppo del Porto di Gioia Tauro in questo modo: “Mi meraviglio di come Soriero abbia sentito il dovere soltanto nel novembre del 1998 di denunziare alcuni livelli di infiltrazione mafiosa”. Con il senno di poi osserviamo che però si denunciava la malapianta a differenza di oggi.
Il clan Piromalli che ha costruito il suo potere su lontane guerre degli anni 50 in cui hanno sterminato i concorrenti, hanno annesso altre famiglie con matrimoni modellati su quelli delle monarchie riuscendo a diventare capostipiti della mafia imprenditrice, definizione coniata dal sociologo Pino Arlacchi, originario di Gioia Tauro e figlio di un sindaco, avversato dai Piromalli, cui nel 1969 misero una bomba nel garage durante una campagna elettorale che distrusse la casa e per miracolo non provocò alcuna vittima. Arlacchi dopo essersi laureato a Trento sarà docente ad Arcavacata diventando uno dei più celebri esperti di mafia a livello mondiala.
La fortuna economica storica dei Piromalli fu quella di gestire quasi in contemporanea i lavori della Salerno-Reggio Calabria e del V centro siderurgico che mai sorgerà a Gioia Tauro. Sui lavori di subappalto di questa ciclopica infrastruttura i Piromalli come cosca egemone del territorio è stato calcolato che si siano assicurati circa un miliardo e trecento milioni, il 55 per cento dell’intera posta in palio. L’abbondante resto andò alle altre cosche della provincia di Reggio Calabria che fece nascere una sorta di network mafioso. Probabilmente una geniale operazione di marketing ‘ndranghetista dei Piromalli che evitando guerre cruente in quel momento storico posero il casato che esponeva due leoni in pietra all’ingresso della villa di famiglia in testa al gotha della ‘ndrangheta. E’ comunque accertato e verificato che il manager del consorzio Cogitau che realizzò il Centro siderurgico aveva come accompagnatore ufficiale sui cantieri di Gioia Tauro Gioacchino Piromalli.
Ma da dove arrivavano i soldi ai Piromalli per un investimento così alto in un appalto miliardario degli anni Settanta? L’industria dei sequestri di persona nasce con questo scopo a partire dal clamoroso rapimento del giovane Paul Getty come sostiene Nicola Gratteri nel suo libro “La Malapianta”. Anche queste le conseguenze dimenticate del sogno industriale della Calabria.
Il clan Piromalli, comunque sia veramente andata, ha comunque condizionato il cammino dello sviluppo calabrese. Un clan d’imprenditori del crimine, soci di imprese locali e nazionali che hanno goduto di numerose complicità politiche di ogni colore. E che ancora oggi ha gioco facile sulla “mollezza del tessuto sociale di Gioia Tauro” come ha detto il pm Musolino. Si consideri però la paura che da quelle parti incutono ancora “Facciazza” e i suoi fratelli. Terribili vecchi di una famiglia che di cedere il potere non ne vuole sapere. (redazione@corrierecal.it)
Foto copertina: Joe Marrazzo intervista don Mommo Piromalli in ospedale (Rai)
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