Cirò, «l’escalation di estorsioni» ai danni di un imprenditore: la «visita» e «la dichiarazione di appartenenza»
Dal 2000, il commerciante è costretto ad un incubo: alle richieste di pagamento della tassa non dovuta risponde denunciando

CROTONE Le operazioni di polizia hanno azzerato i vertici dei clan, frenato gli affari illeciti e costretto i picciotti rimasti orfani dei capi ad una rapida riorganizzazione per riprendere in mano il controllo del territorio. Le estorsioni rappresentano uno strumento fondamentale per i malandrini desiderosi di rimpinguare la “bacinella” e piegare chi tenta, a fatica, di resistere alle richieste di pagamento della tassa non dovuta. L’operazione nome in codice “Saulo”,, coordinata dalla Dda di Catanzaro, raccoglie diversi episodi che certificherebbero il ricorso all’imposizione del “pizzo” da parte di soggetti coinvolti nelle indagini.
L’imprenditore preso di mira
Uno dei casi annotati dalla procura riguarda un imprenditore che «fin dal 2000 aveva riscontrato una sorta di escalation pertinente a danneggiamenti di varia natura». Almeno tre quelli avvenuti a Cirò Marina con i mezzi in uso alla sua attività distrutti dalle fiamme. Non solo. Altri due roghi di origine dolosa, invece, si erano verificati a Crotone in alcuni locali di proprietà del commerciante. In quell’occasione, «le saracinesche metalliche venivano attinte da colpi di arma da fuoco e, in un’altra ancora, era stato fatto esplodere un ordigno in corrispondenza dell’ingresso». L’imprenditore è impaurito e disincantato, ma decide di denunciare e grazie ai filmati delle telecamere di videosorveglianza consente a chi indaga di costruire un quadro completo del danneggiamento, «individuando gli altri attori protagonisti della vicenda». Nel marzo 2024, l’esercizio commerciale ubicato lungo la Ss 106 Jonica finisce nel mirino di chi oppone la forza al niet pronunciato dall’imprenditore deciso a non accettare un dazio non dovuto.
La «visita»
Una coppia di uomini entrambi con precedenti riacquistano la libertà dopo un periodo segnato da misure cautelari ed entrambi, «da subito, si erano attivati con l’intento di rimpinguare le casse del sodalizio d’appartenenza». Uno dei due riesce ad “avvicinare” l’imprenditore e «oltre a millantare la scusa di essersi presentato per un lavoro», fa espressamente riferimento ad «un attuale reggente del locale di ‘ndrangheta di Cirò, compaesano dell’imprenditore». Per chi indaga, l’affermazione assume i contorni di una «dichiarazione d’appartenenza, scevra da ogni possibile dubbio circa la sua interpretazione e cioè che agisse in nome e per conto della ‘ndrangheta». L’uomo in questione, aggiunge un particolare che confermerebbe la volontà di imporre il pizzo quando fa riferimento ad una «visita» che si sarebbe dovuta verificare già nel periodo natalizio e non solo a ridosso delle festività pasquali. Per gli investigatori, l’episodio appena citato, è illuminante rispetto alla ricostruzione del modus operandi attuato dalla cosca in relazione alla gestione del racket da parte degli affiliati, «i quali intensificavano tali attività soprattutto nei periodi festivi, motivandole con le ben note esigenze economiche in capo a tutta la famiglia». (f.benincasa@corrierecal.it)
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