VIBO VALENTIA Sono passati poco meno di due anni eppure i segni lasciati dalla maxi operazione “Rinascita-Scott” condotta dalla Dda di Catanzaro, blitz che ha assestato un durissimo colpo ai clan di ‘ndrangheta vibonesi, si vedono tutti. Nomi, parole e suoni continuano a riecheggiare fra le vie del centro e delle periferie vibonesi, amplificati dalla recentissima sentenza di primo grado del processo con rito abbreviato, arrivata sabato in aula bunker a Lamezia, ma anche dagli ultimi eventi di cronaca che hanno scosso il territorio Vibonese, seminando panico e proiettili.
Le recenti settimane, infatti, sono state segnate da un serie di episodi di cronaca allarmanti, lontani da contesti puramente legati alla ‘ndrangheta, ma che hanno fatto alzare i livelli di attenzione (di per sé già molto alti) in un territorio sempre sotto la lente di ingrandimento. Dal tentato omicidio di Domenico Catania ad opera di Francesco Barbieri, nipote di Giuseppe Accorinti, alias Peppone, episodio avvenuto tra nella notte del 17 ottobre in pieno centro a Vibo e nel cuore della movida, alla donna aggredita a Filandari fino ai due cognati gambizzati, Aldo Barbieri e Pietro Perugino, solo qualche sera fa nella frazione vibonese di Portosalvo. Inequivocabilmente si tratta di segnali di una microcriminalità che sta cercando di rialzare la testa. E lo fa sfruttando quei vuoti riempiti, solo fino ad un certo punto, dal tessuto “pulito” della società vibonese, sfruttando un’apparente fase di riequilibrio.
La stagione autunnale si è aperta evidentemente come peggio non poteva, ma tuttavia non è ancora il momento di perdere la speranza. E non è certo un caso se è lo stesso procuratore di Vibo Valentia, Camillo Falvo, a ripeterlo in più di un’occasione. L’ultima risale a qualche pomeriggio fa quando da Limbadi, tappa della carovana antiracket e antiusura organizzata da “Libera”, lo stesso procuratore vibonese ha sottolineato come effettivamente si tratti di «un momento fondamentale, decisivo e delicatissimo». «È un momento in cui, dopo le operazioni e i colpi inferti dalla magistratura, le organizzazioni criminali potrebbero risollevarsi». Il condizionale è d’obbligo, il procuratore di Vibo lo usa sempre con ragionevole cautela, ma è tanto evidente quanto fondamentale proprio ora “fare rete” e stringere quelle maglie che possano imbrigliare i tentativi di infiltrazione della criminalità. Anche perché il lavoro fatto in questi mesi è stato notevole grazie alla perfetta sinergia tra Procura e forze dell’ordine.
«Non si risolve il problema con la repressione che comunque deve essere quanto più sollecita possibile» ha detto il procuratore di Vibo, ed è emblematico il caso di martedì: prima l’arresto dei due presunti responsabili del brutale pestaggio subito da una 29enne a Filandari poi, neanche 12 ore dopo, gli spari nella frazione di Portosalvo che potevano costare la vita a due persone. Un combinato disposto che non ha però destabilizzato il lavoro della Procura vibonese. «Noi continuiamo a mantenere altissima l’attenzione, abbiamo risposto con dei fermi e continueremo a fare così. Anche perché se la risposta dello Stato è immediata come stiamo facendo, la gente sarà invogliata a denunciare».
I colpi, seppur durissimi e imprescindibili, inferti dalla magistratura alle cosche di ‘ndrangheta da soli non bastano. Serve un lavoro a monte – nelle scuole e nelle famiglie – e che veda la regia di associazioni, istituzioni e forze di polizia perché, come lo stesso Falvo ha ricordato, «non si può certo militarizzare tutto il territorio». Ed è qui che entra in gioco quel processo di «alfabetizzazione» invocato dallo stesso procuratore per educare i giovani contro la violenza e la criminalità. «È importante educare alla legalità e in questo il lavoro svolto da Libera, come da tutte le associazioni che si battono e si impegnano sul territorio, è fondamentale». È non è retorico ricordare, ora più che in altri momenti, che si tratta di una lunga battaglia da combattere, ma con l’impegno di tutti. «Sarà un processo lungo – riconosce Camillo Falvo – gli obiettivi che ci eravamo prefissati sono ancora lontani». Un monito che non è affatto una resa ma un invito ad alzare la testa. (redazione@corrierecal.it)
x
x