LAMEZIA TERME Ricercato “numero 2” dopo il boss di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, e una latitanza durata due decenni. Oggi, dopo 9 anni in regime di 41bis, per Ernesto Fazzalari (cl. ’69) si chiudono le porte del carcere alle proprie spalle e si aprono quelle della detenzione domiciliare. L’ordine è del Tribunale di sorveglianza perché il boss di ‘ndrangheta ha un male incurabile. «Il Tribunale di Sorveglianza di Bologna – ha affermato ieri il legale – concedendo la detenzione domiciliare ad Ernesto Fazzalari ha di fatto applicato il principio di civiltà giuridica che sancisce la prevalenza del diritto alla salute come garanzia della dignità del detenuto e dell’umanità della pena».
Il curriculum di Fazzalari è da antologia della ‘ndrangheta. A ritrovarlo nella notte del 26 giugno del 2016 furono i carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, insieme ai militari del Gruppo Intervento Speciale e dello Squadrone Cacciatori Calabria. Fazzalari si nascondeva in un casolare di Molochio, a pochi passi dal feudo di Taurianova che il suo clan omonimo ha sempre controllato. Nel blitz i militari trovarono una pistola con matricola abrasa, ma anche altro materiale ritenuto di interesse e suscettibile di ulteriori approfondimenti investigativi. Ernesto “u lentu”, nomignolo ereditato dal padre “Turi u lentu”, si era dato alla latitanza nel 1996, cioè quando i pm di Reggio Calabria ne avevano chiesto l’arresto nell’ambito dell’operazione “Taurus”, inchiesta della Dda che aveva fatto luce sulla faida di Taurianova fra gli Asciutto-Neri-Grimaldi e Fazzalari-Crea-Viola. Una delle pagine più sanguinose della ‘ndrangheta calabrese, caratterizzata dallo scontro fra i due storici clan della zona della piana di Gioia Tauro per più di tre anni, balzando agli onori della cronaca per l’efferatezza delle esecuzioni.
Il dedalo di accuse per Ernesto Fazzalari era lunghissimo: associazione per delinquere di tipo mafioso, omicidio, porto e detenzione illegale di armi ed altri reati. Di lui parlò il pentito Roberto Comandè proprio nel corso del processo “Taurus”. «Fazzalari è un killer spietato, uno di quelli che sparano come i pazzi. E questa non è una deduzione, questo è un fatto signor giudice». Classe ’69, l’ex primula rossa di fatto non si è mai allontanato dal suo paese di origine. A vent’anni l’amore per la figlia del boss Rocco Zagari, Rosita, la donna trovata con lui proprio al momento dei blitz dei Carabinieri a Molochio, sempre al suo fianco. Ma quello con la famiglia Zagari è stato da sempre l’emblema di un rapporto strettissimo, soprattutto con il capoclan di cui proprio Fazzalari era diventato guardaspalle e autista in un periodo cruciale come la sanguinosa faida con gli Asciutto-Neri- Grimaldi.
Contro di lui sarebbero stati organizzati almeno una decina di agguati, tutti senza successo, alimentando una faida dal bilancio terribile: 32 morti dall’89 al ’91. Una guerra sanguinosa che non si fermò neanche con l’omicidio del boss Rocco Zagari, avvenuto il 2 maggio del 1991, ucciso a colpi di revolver quando si trovava – da solo – dal barbiere, anzi. La rabbia esplose il giorno dopo in quello che verrà ricordato come il “venerdì nero” di Taurianova: quattro morti. Tra loro il salumiere Giuseppe Grimaldi, ucciso insieme al fratello. Emblematico il racconto di quel giorno legato ad un fatto a metà tra legenda e realtà: la testa di Grimaldi, decapitata con un machete, sarebbe stata lanciata in aria e presa a fucilate come tiro a segno. Da quel momento la faida si chiuse con la vittoria degli Zagari e con il pentimento degli avversari ormai sconfitti. Di Ernesto Fazzalari dissero che, insieme a Pino Zagari, figlio di don Rocco, «partecipò a praticamente quasi tutti gli agguati della faida, sparavano come pazzi». (g.curcio@corrierecal.it)
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