La vita spezzata a 16 anni «per un errore»: trent’anni fa l’omicidio di “Mimmo” Catalano
Una sera d’estate come tante nel quartiere “Archi” di Reggio Calabria. Due ragazzi, un motorino, una pioggia di proiettili

Si chiamava Domenico Catalano, ma per tutti era Mimmo. Aveva 16 anni, un’età in cui non si è ancora uomini ma si è già abbastanza grandi da capire che certe cose non si dimenticano. Era venuto a Reggio Calabria da Roma, dove viveva con i genitori, per passare le vacanze dalla nonna, in quel quartiere che tutti in città conoscono: Archi. Quella sera, il primo settembre del 1990, Mimmo era uscito con Natale Cozzucoli, suo cugino, appena un anno più piccolo. Stavano girando in motorino per le strade del quartiere, senza fretta, senza sospetti. Nessuno dei due sapeva che li stavano aspettando.
Alle 21.30, in una piazzetta ai margini delle aiuole, li hanno affiancati in moto o forse in auto. Hanno aperto il fuoco. In due. Diciassette colpi. Dodici solo su Mimmo, alcuni esplosi quando era già a terra. Il rito feroce delle esecuzioni pensate per restare impresse. Un’esecuzione perfetta. Peccato fosse sbagliata. All’inizio si pensò a tutto. A un regolamento di conti tra ragazzi, a un testimone scomodo da zittire, perfino a un avvertimento. Gli inquirenti esclusero subito la pista della tossicodipendenza o dei giri criminali. Mimmo non era quel tipo. Frequentava un istituto professionale a Roma, dava una mano in officina. Le sue giornate erano piene di cose semplici, non di silenzi complici.
La verità è arrivata molto dopo
Nel 2007, l’operazione “Bless” riapre il fascicolo. Grazie a una lunga indagine fatta di intercettazioni, collaboratori di giustizia e nuove piste, si scopre che Domenico Catalano fu ucciso per errore. Doveva morire un altro. Uno che quella sera portava la stessa maglietta a righe. Uno che doveva essere eliminato per vendetta o per strategia, in quella seconda guerra di mafia che aveva già lasciato oltre seicento cadaveri nelle strade di Reggio. A Mimmo è toccato il destino sbagliato, al momento sbagliato.
Nel 2014, la Corte d’Assise d’Appello conferma l’ergastolo per Pasquale Condello, il “Supremo”, e Demetrio Sesto Rosmini, riconosciuti colpevoli – mandante e killer – di quell’omicidio.
Ma Mimmo, in tutto questo, è rimasto un nome che pochi ricordano.
Una piazza, una maglietta, un silenzio
Ad Archi, il tempo non ha mai avuto molto da dire. Le case sono ancora lì, le strade hanno cambiato poco, e i nomi si sono mescolati nei racconti mai ufficiali delle faide di mafia. Ogni tanto qualcuno ricorda “il ragazzo di Roma” ucciso per sbaglio. Qualcuno ne parla come di un’ombra breve passata nel quartiere. Mimmo non aveva legami con la criminalità, eppure è morto secondo le sue regole. Non c’è molto altro, oggi, nel giorno dell’anniversario. 35 anni dopo. Un ragazzo in motorino. Una maglietta a righe. Un’estate che non sarebbe mai dovuta finire così. (fra.vel.)
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