La faida di Seminara nata per uno schiaffo. La morte del piccolo Giuseppe Bruno al posto del papà
L’11 settembre 1974 il bambino di 18 mesi rimase ucciso in un agguato: era sulle spalle del padre. Prima di lui persero la vita decine di persone

La notte del 15 settembre 1971 in un cantiere stradale a pochi passi da Seminara, nel Reggino, salta in aria una betoniera. È un attentato, non c’è alcun dubbio. Domenico Gioffrè è il guardiano della ditta di lavori stradali. 52 anni, fisico prestante, ha perso la mano sinistra in un vecchio incidente ed è sicuro che a compiere quel gesto siano stati i Frisina. Un sabotaggio per una storia di appalti o qualcosa del genere. Agli inquirenti che lo interrogano per saperne di più, dice che sono stati loro.
Due giorni dopo, intorno alle 17, Domenico Gioffrè si trova in un’osteria del paese. È insieme al fratello Rocco. Nel locale c’è anche Giuseppe Frisina, 50 anni. Sarà per gli amari mandati giù uno dopo l’altro o perché doveva succedere e basta, che tra quest’ultimo e i Gioffrè volano parole grosse. Giuseppe urla ai due di non aver paura di loro, «venite fuori», gli dice. Domenico gli si avvicina e lo schiaffeggia davanti a tutti, proprio pochi attimi prima che nell’osteria entri suo figlio Giuseppe di 19 anni. A questo punto l’altro Giuseppe, colpito nell’orgoglio da quello schiaffo, tira fuori una pistola, spara e fugge, aiutato da due suoi cugini, i Pellegrino. A terra è rimasto solo il giovane Giuseppe. È grave, lo portano in ospedale. Si salverà dopo mesi di vita appesa a un filo. Ma quell’affronto non può essere dimenticato. Ormai è guerra, da una parte i Gioffrè, dall’altra i Frisina-Pellegrino. È la sera del 17 settembre 1971 ed è appena iniziata la faida di Seminara, il «paese degli inesorabili» come ricorderà due anni dopo in un articolo sull’Unità l’inviato Cesare De Simone.
L’inizio della faida
Da quel giorno la guerra tra le due famiglie rivali si fa cruenta, spietata, senza tregua. E non risparmia nessuno. Il 7 ottobre, neanche un mese dopo il ferimento del giovane Giuseppe Gioffrè, vengono colpiti Rocco Pellegrino di 33 anni, gestore della stazione di servizio “Total” nei pressi di Seminara, e il cugino Fiorentino Staltieri di 29 anni. Quest’ultimo riporta ferite lievi, Rocco viene trasportato in ambulanza prima in una clinica di Villa San Giovanni, poi all’ospedale di Messina. Durante quel tragitto disperato, sua moglie Carmela partorisce il loro quarto figlio.
Quello stesso giorno cade sotto la furia dei Gioffrè anche l’agricoltore Antonio Pietropaolo, 59 anni, zio di Rocco. Viene freddato a colpi di lupara. La sua colpa? Aver aiutato nella latitanza Giuseppe Frisina che, però, nel frattempo, si era costituito. Non è finita. Il 10 ottobre Rocco Pellegrino è ancora ricoverato a Messina in condizioni gravissime. I fratelli Michele e Pietro sono andati a trovarlo insieme alla madre Maria Antonia di 65 anni. Al rientro a casa, sulla strada provinciale per Palmi che porta verso Seminara, vengono travolti da tre scariche di lupara. I killer sono nascosti dietro alcuni cespugli. Non muoiono, ma quello che ne esce peggio è Michele, ricoverato immediatamente nello stesso ospedale in cui lotta tra la vita e la morte il fratello.
La mattanza non deve fermarsi, e così il 14 ottobre nella piazza centrale di Seminara, viene ucciso a colpi di pistola il contadino Domenico Gallico, legato ai Pellegrino. Che adesso, però, decidono di reagire insieme ai Frisina.
Con il mitra al funerale
Appena un mese dopo l’omicidio di Domenico Gallico, viene massacrato a colpi di mitra e lupara il 19enne Gaetano Gioffrè, nipote di Domenico. Stava tornando a casa in automobile dalla raccolta delle olive nel suo podere insieme alla fidanzata, alle tre sorelle e al figlio piccolo di una di loro che restano feriti. La tregua non arriva neanche nel giorno dei funerali di Gaetano. Durante il corteo funebre, Salvatore Pellegrino, fratello di Rocco e Michele, con un mitra tra le braccia scatena il panico. Tutti scappano, persino il parroco, la bara cade a terra, capovolta. Sembra un film a metà tra il thriller e il comico. Salvatore sta cercando i Gioffrè, che però non si vedono, sono rimasti prudentemente a casa.
Il 28 gennaio muore Rocco Pellegrino, a Messina non sono riusciti a salvarlo. Il 19 marzo si rifà vivo Salvatore Pellegrino, stavolta per compiere l’omicidio più atteso, quello di Domenico Gioffrè, l’autore dello schiaffo in osteria da cui è partita la faida. Il 22 marzo tocca a Vincenzo Gioffrè vendicare la morte del figlio Gaetano. La sua vittima è Pietro Pellegrino, l’omicidio avviene di fronte alla chiesa Maria Santissima dei Poveri a Seminara. Neanche due settimane dopo tocca all’agricoltore Rocco Suraci perdere la vita. Aveva soccorso Rocco Pellegrino quando era stato ferito davanti al suo distributore di benzina. Il 4 dicembre vengono feriti il fidanzato di Carmela Gioffrè, figlia di Domenico, e suo padre.
Si va avanti così, senza alcun criterio, senza umanità. Il 26 gennaio 1973, Carmela Pardo di 28 anni, giovane vedova di Rocco Pellegrino, sta andando a prendere i suoi quattro figli all’asilo. L’ultimo nato si chiama proprio come il marito. Un uomo le si avvicina e le spara con un fucile a canne mozze. La donna cade a terra, è ancora viva e allora l’uomo le dà il colpo di grazia sparando con una pistola alla testa. È mezzogiorno e la strada del paese che fino a pochi istanti prima era colma di gente, si è svuotata in un attimo.
L’omicidio del piccolo Giuseppe Bruno, sulle spalle del padre Alfonso
Ce ne saranno altri di agguati e di lutti nei mesi successivi. Fatti di sangue assurdi, inspiegabili. Il più atroce avviene l’11 settembre 1974, tre anni dopo l’inizio di quella guerra tra famiglie rivali. È sera a Seminara e Alfonso Bruno, un camionista di 32 anni, sta portando a casa suo figlio Giuseppe di un anno e mezzo. Lo tiene sulle spalle e insieme salgono le scale esterne dell’abitazione. Proprio in quel momento dal buio vengono esplosi alcuni colpi di lupara. Il bambino viene colpito alla testa, il suo corpo fa da scudo al padre che viene ferito non gravemente. Li soccorrono la moglie e Iolanda Gioffrè, loro vicina di casa, cugina di Vincenzo Domenico Gioffrè, in carcere perché ritenuto colpevole di tre omicidi. Il piccolo Giuseppe muore appena arrivato all’ospedale di Palmi, Alfonso se la cava con una prognosi di dieci giorni. Secondo gli inquirenti i Frisina-Pellegrino volevano uccidere Alfonso che in passato aveva lavorato per i Giuffrè. Ma hanno sbagliato bersaglio, a pagare le conseguenze di quella follia assurda e interminabile è stato un bambino che stava tornando a casa spensierato, felice sulle spalle di suo padre. Alfonso, questa volta sì, verrà ucciso un anno dopo, nell’ottobre del 1974, a Bagnara Calabra. Cinque colpi di pistola e morte istantanea. La polizia arresta Rocco Gioffrè e i nipoti Giuseppe e Rocco. Ma non è finita. A cadere saranno ancora Carmine e Salvatore Pellegrino. Fino al 1976 i morti saranno 16, i feriti 26.
Una faida terribile, un vero e proprio sterminio nato da uno schiaffo, da una parola di troppo. Sono gli anni ’70, quelli dei moti di Reggio che vuole il capoluogo di regione al posto di Catanzaro. Siamo in una porzione di Calabria totalmente sorda, medievale, terrorizzata, vendicativa, ‘ndranghetista. Una terra in cui persino la vita di un bambino di 18 mesi non ha valore. (f.veltri@corrierecal.it)
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