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La morte dei bambini Bartolo e Antonio Pesce per una bomba collocata nel posto sbagliato

Per la strage di Pizzinni del 1982 ancora oggi non sono stati individuati i colpevoli. Nel 2021 la riapertura delle indagini

Pubblicato il: 17/08/2025 – 6:45
di Francesco Veltri
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La morte dei bambini Bartolo e Antonio Pesce per una bomba collocata nel posto sbagliato

Pizzinni, frazione di Filandari, nel Vibonese. È il 24 ottobre del 1982. Una domenica come tante. Siamo nel vicolo Antonio Deodato, una strada stretta, circondata dagli ulivi. Sono da poco passate le 20.30, è ora di cena. Sembra tutto tranquillo quando dal buio, irrompe la voce di Maria Rosa Cichello, una signora di 67 anni, vedova. Stava rientrando a casa quando un forte odore di bruciato, forse gas, l’ha insospettita, fino all’inquietante scoperta: davanti alla finestra della sua abitazione è posizionata una bomba con una miccia, sta per esplodere. La signora Cichello chiede aiuto, non sa cosa fare. Le sue urla vengono sentite dall’intero vicinato, soprattutto dai suoi dirimpettai, la famiglia Pesce. Li si vede avvicinarsi alla casa di Maria Rosa Cichello di corsa, incuriositi da quegli schiamazzi: sono Francesco Antonio di 42 anni e i figli Bartolo e Antonio di 14 e 10 anni che stavano giocando lì vicino. Piombano sulla strada anche i loro cugini, Margherita e Carmelo Vallone.
Francesco Antonio si guarda intorno e in pochi secondi capisce cosa sta per succedere.
«Scappate», ordina ai suoi ragazzi, «qui c’è una bomba».
Ma è già troppo tardi. Quelle parole vengono squarciate in un secondo da una deflagrazione potente, devastante, che non lascia scampo. Bartolo e Antonio muoiono sul colpo, mentre tutti gli altri presenti in quella strada restano feriti gravemente, ma si salveranno.

Le indagini, i processi e le assoluzioni

Le indagini degli inquirenti arrivano presto a una prima conclusione, quella bomba, 800 grammi di gelatina esplosiva, posizionata davanti al civico numero 8 della casa di Maria Rosa Cichello, doveva esser piazzata altrove. È stato un errore metterla lì, l’obiettivo era un altro, erano altri: la famiglia Soriano (Giuseppe di 47 anni e i suoi figli Leone, Carmelo, Domenico, Gaetano, Roberto, Francesco e Alessandro) la cui casa era poche decine di metri più distante dal luogo dell’esplosione.
Il clan Soriano stava osando da tempo sfidare le potenti famiglie di ‘ndrangheta del Vibonese e andava punito nel modo più eclatante.
Intanto, per il giovedì successivo Cgil-Cisl e Uil del comprensorio indicono uno sciopero generale e una grande manifestazione unitaria da tenere per le strade di Vibo Valentia. «Diciamo no alla mafia», affermano. Si muovono anche il Partito Comunista che chiede una risposta di massa contro «questa barbarie che uccide anche i bambini innocenti» e la Chiesa calabrese che con i suoi vescovi esprime gli stessi concetti.
I carabinieri fermano alcune persone sospettate della strage, si tratta di pregiudicati di paesi vicini a Filandari.
Leone Soriano, a cui era destinata la bomba, fa i nomi di Francescantonio Mondella e Michele Vinci. Il movente, a suo avviso, riguarderebbe alcuni contrasti sorti per una serie di furti a lui attribuiti. Viene arrestato anche Nazzareno Pugliese. Ma non ci sono abbastanza prove contro di loro e nel processo che si terrà nei mesi successivi, verranno assolti.
Gli inquirenti sono convinti che siano stati i Mancuso di Limbadi a progettare quel massacro e le indagini si concentrano soprattutto su di loro.
Nel 1986, nel maxi-processo “Francesco Mancuso+96”, la Corte d’Assise di Catanzaro condanna all’ergastolo Peppe e Luigi Mancuso. Si ritiene che siano i mandanti della strage di Pizzinni, anche loro verranno assolti in appello.

Le dichiarazioni dei pentiti e la riapertura delle indagini

Dal 1986 in poi, su quell’evento drammatico cala il silenzio. Fino al 2005, quando il pentito Angiolino Servello svela di essere il responsabile della strage. Rivela retroscena e movente ma, stranamente, nonostante un verbale acquisito nell’ambito del processo “Black money-Overseas-Purgatorio” contro il clan Mancuso di Limbadi, non subisce un processo.
Il 19 novembre del 2019, l’ex infiltrato del Ros nell’operazione antidroga “Decollo”, nonché collaboratore di giustizia, Bruno Fuduli si suicida impiccandosi nelle campagne di Filandari. Era stato condannato in primo grado a 16 anni di reclusione per essere rimasto coinvolto nell’operazione antidroga “Overloading”. In precedenza, però, nella sua veste di collaboratore di giustizia, aveva rivelato di aver saputo da Vincenzo Barbieri, broker della cocaina, che anni prima i Mancuso avevano messo una bomba a Pizzinni per affermare la loro supremazia rispetto ai Soriano.

Un nuovo capitolo

Da poco tempo il caso sulla morte dei fratellini Bartolo e Antonio Pesce ha aggiunto al suo racconto un nuovo importante capitolo grazie alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro che nel 2021 ha riaperto le indagini al seguito dell’inchiesta “Rinascita-Scott” e alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Su tutte, quelle di Andrea Mantella che nel 2016 ha parlato di ciò che è accaduto a Pizzinni il 24 ottobre 1982. Mantella ha saputo che la bomba era stata collocata da Peppe Mancuso e Nazzareno Pugliese per uccidere i Soriano. I particolari, anche se già li conosceva, gli sono stati raccontati nel carcere di Catanzaro-Siano da Leone Soriano che avrebbe anche rivelato di aver commesso la leggerezza nel fare alle forze dell’ordine confidenze su quanto accaduto. 
«Non so – ha dichiarato in quella circostanza sempre Mantella – se sia coinvolto anche il collaboratore Servello».
Nel luglio del 2021 i militari del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Vibo Valentia e della Sezione Investigazioni Scientifiche hanno effettuato un sopralluogo e rilievi balistici con l’ausilio di appositi macchinari nella zona dell’attentato per ricostruire la dinamica dell’evento in cui hanno perso la vita Bartolo e Antonio 42 anni fa. Una strage lontanissima nel tempo, rimasta ancora impunita. (f.veltri@corrierecal.it)

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